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Hubert e Lolita
«[…] L’altro quando evochi d’un tratto, a occhi chiusi, nel buio interno delle palpebre, la replica oggettiva, esclusivamente ottica di un viso amato, un piccolo fantasma dal colorito naturale (e così vedo Lolita).»
Non è semplice recensire un titolo quale “Lolita” di Vladimir Nabokov. Non tanto e non solo per quell’argomento così crudo e duro da affrontare che respinge per la sua essenza e incuriosisce per quegli inspiegabili atti, quanto anche per il viaggio che ha inizio e che altro non è che una apnea totale nella mente di quel protagonista così coinvolto e innamorato della piccola dodicenne Lolita, dalle sue sorti e da parte di quel fato avverso che sembra macchinare contro di lei.
La maestria di Nabokov è certamente nello stile e nel riuscire nell’immedesimazione. Hubert, il suo antieroe, è un pedofilo che vive della malattia quasi con vergogna ma che eppure, nonostante tutte le sue più intime riflessioni, non riesce a sottrarsene. Se all’inizio i suoi sono soltanto pensieri, il punto di non ritorno si ha con l’incontro con la giovane adolescente che supera quella linea di demarcazione tra immaginazione e realtà.
L’amore dell’uomo sarà accentuato dal diventare patrigno della ragazza, sarà vittima di gelosie estreme, sarà consumato nell’indifferenza in cui ella si concede ai suoi desideri e da quella sottigliezza caratteriale che, ancora, la caratterizza.
Il risultato è quello di un titolo che scuote e lascia il segno nel bene e nel male.
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