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Come le mosche d'autunno
 
Come le mosche d'autunno 2021-08-01 20:21:26 archeomari
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archeomari Opinione inserita da archeomari    01 Agosto, 2021
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NOSTALGIA CANAGLIA

Un piccolo gioiello, oscurato da titoli più famosi, in primis da “Suite francese”, che, secondo il mio modestissimo parere, non è la sua opera più riuscita. Nella ricchissima bibliografia della Némirovsky, fortunatamente scampata al silenzio dopo la Shoah e pubblicata dalla figlia, ci sono tematiche ricorrenti e, se si leggono di seguito le opere più famose quali “Il vino della solitudine”, “Il ballo”, “ La nemica”, “David Golder” , si corre il rischio di imbattersi in un percorso letterario immaginifico monotono con giudizio errato sulla qualità letteraria della Némirovsky.

Nel racconto “Come le mosche d’autunno “ ho trovato una ventata d’aria nuova, inedita: tematiche diverse, punte di lirismo descrittivo, una dolce malinconia, nuova, se penso alle opere lette sopracitate. È nei racconti che l’autrice dà il meglio di sé, liberandosi da quella ‘scrittura come terapia’ che campeggia nei titoli principali, quell’acredine verso la famiglia di origine, per aprirsi a nuovi motivi narrativi.

In questo racconto l’autrice narra della fedelissima, anziana balia della famiglia Karin, Tat’jana Ivanovna che era in servizio da loro
“ da cinquantun anni. Era stata la balia di Nikolaj Aleksandrovi?, il padre di Jurij, e dopo di lui aveva tirato su i suoi fratelli e le sue sorelle, poi i suoi figli... Si ricordava ancora di Aleksandr Kirillovi?, ucciso durante la guerra di Turchia nel 1877, trentanove anni prima... E adesso toccava ai ragazzi, a Kirill e Jurij, partire anche loro per la guerra...”.

Questa balia è dunque la memoria storica della famiglia, della casa e dei luoghi dove è stata felice, amata e benvoluta dai padroni.
Ai tempi della storia suo marito, i suoi figli, sono già morti da tanto tempo, al punto da faticare anche a ricordarne le sembianze. La narrazione comincia con la famiglia Karin che, sorpresa dalla Rivoluzione di ottobre, è costretta a fuggire verso la Francia. Con l’arrivo della guerra il piccolo cosmo di Tat’jana, fatto di devozione profonda, di cure amorevoli, di rituali che si ripetono nel tempo, come i rigidi inverni russi, viene sconvolto.
Nel corso del lungo viaggio, l’anziana nutrice vede i componenti della famiglia Karin sbattere di qua e di là tra le pareti della casa come insetti in autunno:
“Fin dal mattino venivano chiuse imposte e finestre, e in quelle quattro stanzette buie i Karin vivacchiavano fino a sera, senza uscire, sconcertati dai rumori di Parigi, respirando con fastidio il tanfo degli scarichi e delle cucine che saliva dal cortile. Camminavano avanti e indietro da una parete all’altra, in silenzio, come le mosche d’autunno, allorché, passati il caldo e la luce dell’estate, svolazzano a fatica, esauste e irritate, sbattendo contro i vetri e trascinando le ali senza vita”.

Autunno: stagione della malinconia per eccellenza, con la sua “estate fredda” per dirla con Pascoli, con quel suo senso di stordimento dopo la calura estiva, che esercita il suo effetto subdolo sulle mosche, che sembrano impazzite, sbandate come i personaggi della storia, e sbattono le loro ali contro i vetri delle finestre.

La storia mi ha colpito per la devozione commovente della nutrice, che reca cuciti nell’orlo della veste i diamanti e i preziosi da portare ai suoi padroni, che protegge come se fossero suoi. Che guarda con nostalgia e amore i ritratti dei giovanotti di casa come se fossero figli suoi, suoi nipoti. Che ascolta le storie antiche che le pareti di casa sembrano narrarle.
È la storia di una donna anziana che si tiene in piedi grazie al desiderio di servire e alla speranza di poter accudire anche i futuri figli e nipotini dei padroni. In terra straniera con gli occhi cerca la neve, quelle belle e terribili nevicate russe che avevano rappresentato nella sua vita la sicurezza della consuetudine.
Ma a Karinovka, nuova residenza lungo il percorso che dovrebbe portare i Karin in Francia, l’autunno sembra una stagione perenne.

“Era cominciato in autunno, quando le giornate diventavano sempre più corte, e in casa si aspettava ad accendere la luce per non consumare troppa elettricità. Lei spolverava e scuoteva di continuo le stoffe degli arredi; la polvere si sollevava, ma poi ricadeva subito altrove, come cenere lieve.”
Anche l’immagine della polvere che ricade come cenere lieve é di una potenza poetica notevole, un richiamo alla morte, un correlativo oggettivo, direi, come altre immagini che vi invito a scoprire.

Breve racconto di una nostalgia che diventa quasi agonia, tanto che anche al lettore viene da dire insieme a Tat’jana:

“Com’è lungo l’autunno qui, a Karinovka…”

Se amate Cechov, questo è il libro che più si avvicina al grande russo, nume tutelare della Némirovsky.

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Cechov
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