Dettagli Recensione
A' livella
“Cambiare l’acqua ai fiori “ di Valerie Perrin è esattamente quello che dice di fare, un ricordare, un raccontarsi, cambiare l’acqua, anzi di più, un rinnovare il liquido vitale, la soluzione fisiologica, zuccherina e vitaminica, dove sono immersi i nostri fiori, i nostri pensieri, quelli che ricordiamo, quelli che hanno scandito la nostra esistenza, i momenti lieti, quelli brutti, quelli, che sono i più, di ordinario scorrere dei nostri giorni. Cambiamo l’acqua ai fiori, ricordiamo, ricordiamoci, rinnoviamoci alla luce delle riconsiderazioni della raggiunta maturità, immersi in acqua fresca più nessun pensiero ristagna o imputridisce, si rinnova a nuova vita, lo rimettiamo a nuovo, rinverdiamo i colori, compie queste azioni l’acqua, l’acqua che a volte manca in una vita troppo arida.
“…la cattiveria è come il letame: anche dopo che è stato rimosso, l’odore rimane nell’aria a lungo…”
“Cambiare l’acqua ai fiori”, fatti i dovuti distinguo, descrive a modo suo, con altri termini, altra trama, con una protagonista femminile, ma identico sito, quanto già riporta “A’ livella”, la famosa poesia del Principe Antonio De Curtis, in arte Totò, soprattutto come detto per l’ambientazione, un cimitero, certo…ma direi finanche per un’etica, un rispetto, una delicatezza d’animo che aleggia e profonde come chiara, fresca e dolce acqua sia il romanzo che la lirica.
“Cambiare l’acqua ai fiori” è una metafora, un rendiconto, un rendez-vous, il racconto di un sunto da fare sul finire della propria esistenza.
Il fatto curioso, insolito, che conferisce una punta di novità alla trama è che Violette, la protagonista, tutto quanto detto lo fa proprio in un sito ad hoc per queste evenienze di trapasso dei ricordi da un passato ad un presente, un cimitero in un piccolo paesino della Borgogna, appunto, ma lo fa in una veste istituzionale che in genere non la immaginiamo indossata da una donna. Insomma, la signora non è che nel camposanto ci va in visita ai propri defunti, come normalmente staremmo a pensare, con un custode lugubre e baffuto che gironzola tra i viali, tutt’altro, Violette, nome di fiore, nel cimitero ci vive, e ci lavora. Il Nomen omen non si esaurisce nel nome di battesimo, il cognome è Toussaint, in italiano grosso modo si intende “Tutti i santi”, ma paradossale tutto il libro ha pochissimo, quasi nulla, questo è un romanzo serio, anche troppo, e per questo talora pesantuccio.
Inoltre, un po' troppo lungo.
Violette di giorno indossa un abito austero, pratico e professionale e si dedica a cambiare l’acqua ai fiori, si cura delle lapidi, rispetta e ama le anime affidate alla sua cura, conforta con cortesia, gentilezza, delicatezza ed una profonda empatia i dolenti in visita ai loro cari, non li considera la sua utenza, la sua clientela, ma i sodali da assistere nel loro cordoglio.
La signora Violette per assistere usa le parole, quindi parla, dice, racconta, ma può farlo efficacemente solo perché cambiare l’acqua ai fiori è un modo per prestare attenzione, ascolto, essere sodale:
“…Parlo da sola. Parlo ai morti, ai gatti, alle lucertole, ai fiori, a Dio (non sempre gentilmente). Parlo a me stessa, mi interrogo, mi chiamo, mi faccio coraggio…”
Poi di sera si ritira nel suo alloggio, toglie la divisa, indossa una mise agli antipodi con i panni finora indossati, e si riappropria della propria esistenza, diventa come tutti noi il cantore dei giorni della propria vita, la scrittrice di se stessa, riconsidera il proprio passato fatto di chiaroscuri, come quello di chiunque, più ombre che luci, in verità, e luci anche crudelmente forti, di quelle che accecano, tipo un matrimonio sbagliato, e di cui però ha appreso la lezione più comune, banale ed intensa al tempo stesso, forse proprio per questo inavvertita dai più: che i sentimenti sono come i fiori, perché crescano e restino belli, gioiosi, rigogliosi, l’acqua va cambiata, spesso e volentieri.
I sentimenti sono come figli, o figlie, sono fiori, e vanno curati con amore, sempre.
Lo dice a ragion veduta perché la signora ha occhio per i particolari, è stata una fotografa, e i particolari, i dettagli, le righe fuori margine, lo sfondo, parlano, raccontano, dicono tanto.
Perciò il romanzo della Perrin è corposo, un bel tomo, terra grassa, quella su cui i fiori prosperano, fiori con mille colori, quanti sono i dettagli della vita, perciò questo è stato un hit editoriale, ognuno trova quello che cerca e più gli aggrada, anche una storia d’amore, oppure un mistero, o anche un enigma su una misteriosa sepoltura, perciò questo è un libro multicolore, un romanzo rosa, giallo, nero, esattamente come i mille colori, i mille sentimenti che annovera l’esistenza, perciò questo è un testo a velocità variabile, talora va lento, talaltra più veloce, sempre comunque suscita la curiosità di sapere dove si andrà a parare, di che fiore si tratta.
Valerie Perrin ha scritto un bel libro, niente da dire, un bel narrato, su vari piani narrativi passato-presente, molto descrittivo, sinceramente sentimentale, ma nel senso buono del termine, certo non lezioso o melenso. Però ha scritto tanto, troppo. Credo che il suo lavoro, snellito, avrebbe presentato una linea più appetitosa. Dopo tutto, poteva condensare l’assunto che i sentimenti sono come i fiori, perché crescano e restino belli, gioiosi, rigogliosi, l’acqua va cambiata, spesso e volentieri.
Sempre, finché puoi farlo, perché la vita è quella che è, ci costringe ad arrabattarci per i motivi talora più astrusi, ma al tramonto, alla fine dei giochi, prende sempre la stessa forma, quello antico di una pialla da falegname, ci livella tutti in un unico sito, magari dove poi si trovano solo fiori finti, usi solo a raccogliere la polvere.
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