Dettagli Recensione
Del go e di altri luoghi ameni
“Io non gioco per vincere, io gioco a go”
La tradizione orientale nemmeno lo considera un gioco, piuttosto un’arte, con una filosofia ben precisa a caratterizzarlo. Lo scopo non è quello di uccidere l’avversario, ma di occupare il maggiore spazio possibile e renderlo inviolabile. La nobiltà dell’Oriente confluisce nei ritmi lenti e nel fitto protocollo, come la cerimonia del tè il go affonda le radici nella raffinata tradizione classica giapponese.
L’anziano maestro siede con le ginocchia appoggiate sul tatami che profuma di nuovo, il mezzo busto rigido nella concentrazione ma allo stesso tempo leggero, in pace. Sta disputando l’ultima partita, l’ultimo confronto nell’inevitabile successione tra il vecchio e il nuovo.
Mentre cumuli di ore trascorrono immobili in attesa che l’avversario scelga la sua mossa, il maestro realizza quanto il Go abbia ormai perso la sua grandezza e si sia ridotto a un infinito elenco di regole. I sassi del fiume rumoreggiano nelle acque ingrossate, le terme attendono di immergere il prossimo bagnante, il temporale estivo infuria. Il maestro vuota l’ennesima tazza di tè.
Incantevoli le scenografie che Kawabata ci dona in ogni suo romanzo, si noti la grazia con cui riesce a narrare di un gioco distante dagli Occidentali, di una lentezza esasperante per noi elementi esogeni.
C’è qualcosa di eccezionale nella penna di questo autore, bisogna abbattere gli argini e lasciarsi cogliere dal suo talento.
Dopo il romanzo una breve guida sulle regole del go non vi renderà degni di un torneo agonistico, ma un’infarinatura semplificherà decisamente la lettura.
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Diciamo che è buono se di è abituati al passo di Kawabata.
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