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La colpa
Tra gli ultimi scritti di Amos Oz, morto nel 2018, questo romanzo ha il duplice dono di essere una lettura molto gradevole e di riuscire a interessare nel contempo il lettore con una materia di indagine non certo semplice e immediata: ribaltare la prospettiva cristiana sulla crocifissione di Gesù e nella fattispecie la figura del traditore per eccellenza, Giuda. La tesi di fondo verte sulla banale constatazione che Gesù Cristo fu uomo ebreo quanto Giuda, che i due furono amici e che Giuda, inizialmente infiltrato nella congrega dei discepoli, fosse stato poi completamente rapito dal carisma di Gesù fino a volerne con il tradimento la crocifissione, perché così l’amico avrebbe dimostrato, superando la morte o meglio evitandola proprio con uno dei suoi miracoli, la sua natura divina. Insomma Giuda sarebbe il fondatore del cristianesimo laddove Gesù Cristo mai parlò di sé come figlio di Dio. Accanto alle disquisizioni su corpo o spirito, su sostanza materiale o spirituale o entrambe - questioni tutte aperte- si inserisce una trama che porta il giovane universitario Shemuel Asch, in realtà il sostenitore della tesi azzardata su Giuda, a entrare in contatto con un anziano intellettuale e una enigmatica giovane donna che vivono insieme e cercano un badante per l’anziano uomo, ancora autosufficiente ma bisognoso di compagnia, soprattutto nelle ore serali. Il giovane risponde all’offerta di lavoro per via del dissesto finanziario che ha colpito l’azienda paterna e lo costringe ad abbandonare l’università e per un intimo bisogno di solitudine ora che la sua ragazza ha deciso di sposare il suo ex. All’interno del nuovo nucleo familiare, enigmatico e sfuggente, quanto l’insidioso mobile gradino di legno che introduce alla segreta dimora del quartiere più occidentale di Gerusalemme, scoprirà la storia di un altro traditore che necessita di essere riabilitato. Si tratta di Yehoyachin Abrabanel, un sionista della prima ora che gradualmente avverte il pericolo insito nel sionismo, anche in virtù delle amicizie che conta nel mondo arabo, e che si rende conto che l’utopia di Ben Gurion porterà solo a una guerra fratricida. È la parte più nobile dell’intero romanzo, l’autore, noto anche per i suoi scritti contro il fanatismo, è qui il latore di un messaggio di pace forte e necessario che basa il suo fondamento sulla constatazione che il torto di un uno è metà della ragione dell’altro e viceversa. La materia narrativa lentamente sfuma in un epilogo mesto e necessario che porta il lettore a congedarsi con nostalgia da una terra martoriata dal conflitto ieri come oggi.
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