Dettagli Recensione
Per un pugno di pensieri
“Se sono matto, per me va benissimo, pensò Moses Herzog.”
Il Mosè in questione, ben lontano dalla mitica funzione di conduttore e liberatore del popolo ebraico, come già si evince dall’incipit perfetto sopra riportato, è un essere umano a tutto tondo, contraddistinto da dubbi, eterne incertezze, contraddizioni. È in perenne bilico tra le scarse relazioni sociali che è riuscito a instaurare nella sua vita: due ex mogli, due figli nati dai matrimoni naufragati, un fratello affermato ma distante per via del suo ineccepibile piglio pragmatico, qualche donna di passaggio, un solo amico, un ex amico, qualche professionista di contorno. Lui stesso lo è, un accademico, un promettente studioso in gioventù , ora perso nel genio creativo dell’ennesima disquisizione filosofica. Herzog è un filosofo. Il filosofo dell’alienazione, il simbolo della condizione dell’uomo moderno, egli stesso “il significato sociale del Nulla”. Herzog è anche i suoi ricordi, quelli che cede a noi tramite l’espressione tangibile della sua quasi riuscita alienazione totale: scrive infatti a persone che ha conosciuto, ma talvolta scomoda anche illustri corrispondenti che naturalmente non corrispondono affatto o perché morti o perché distanti o più semplicemente perché impossibili. La comunicazione è dunque univoca, si realizza nell’atto materiale dello scrivere su carta delle epistole che, il più delle volte, ripercorrono una scialba biografia, altre volte sono invece la risposta a un meccanismo compulsivo che disseta l’alienato. È inoltre ebreo, fatto di non secondaria importanza che si riflette sul suo sentire, sul suo essere, sulla sua sconfinata conoscenza, specchio gentile di quella del suo demiurgo. Herzog è anche Bellow. Herzog è infine obbligato a essere se stesso, l’ennesimo uomo incapace di vivere perché “non è ancora esistito un individuo vero, capace di vivere, capace di morire. Soltanto ammalati, sciocchi e tragici, o lugubri e ridicoli, che a volte hanno persino sperato di arrivare all’ideale per mezzo d’un Miracolo, con la semplice forza del grande desiderio di arrivarci. Ma di solito costringendo l’intero genere umano a credere in loro con la prepotenza.”Herzog è un depressivo che mira all’edonismo, incapace di arrendersi al suo retaggio ebraico che potrebbe definitivamente schiacciarlo, o meglio sarebbe dire alienarlo. Herzog è infatti anche un ebreo in America, incapace di conformarsi, a prescindere. E poi Herzog è irrimediabilmente imbranato, fuori luogo, sprovveduto al punto tale da suscitare simpatia immediata, un pasticcione uomo-bambino, un cuore puro che lentamente, attraverso le lettere, cerca di ricostruire la sua coscienza frammentata, consapevole dell’unica verità del quale è certo: niente è comprensibile, meno che mai il proprio Io. A tutti è dato solo vivere nella menzogna e assecondarla, smettendo momentaneamente di scrivere lettere, anche perché esse possono restituire l’ennesima frammentazione, l’ennesimo episodio …
”L’uomo è cosa vana, cosa vana. Follia e peccato sono tutto il suo gioco”: il mantra biblico è sempre un utile monito per l’ebreo senza patria che alla fine accetta di buon grado di abitare da inquilino il suo Io.
Personaggio memorabile e imperdibile.
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