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Riconoscere il padre
«I saggi sostengono che niente ha senso. Gli innamorati possiedono una saggezza più profonda dei saggi. Chi ama non dubita un istante del senso delle cose.»
Siamo a Reno, Nevada, è il 1994. Joe Whip ha quattordici anni, quasi quindici. Non conosce il proprio padre e di fronte all’ennesimo fidanzamento della madre viene messo alla porta perché ormai divenuto di troppo. Ama la magia, ha mani d’oro e perfette per l’arte della prestigiazione. Sarà proprio grazie a questo che conoscerà Norman Terence, il più abile fattucchiere della zona, innamorato e accompagnato alla bella Christina. Norman decide di prenderlo in casa e di erudirlo all’arte del trucco, di perfezionarlo in quel che già conosce. Lo prende in casa e lo tratta come un figlio, un figlio che non può far a meno di amare anche quando l’inevitabile infatuazione per la donna subentra, anche quando il gioco d’azzardo lo affascina e attira senza sosta, anche quando il padre finisce con l’essere ricusato dal figlio.
«Non posso fare altrimenti. I figli che non vengono riconosciuti dal proprio padre ne soffrono. Ma esiste una sofferenza più grande: quella di un padre che non viene riconosciuto dal proprio figlio.»
Ma non è solo questo “Uccidere il padre”. Perché oltre che a trovarci di fronte a un titolo intriso di filosofia e di riflessioni sulla genitorialità e sul rapporto tra un padre e un figlio, un figlio e un padre, la Nothomb si interroga e ci interroga sul vivere, sui rapporti umani, sulle privazioni, le tentazioni, gli errori, i sogni, le illusioni e le disillusioni e anche sulla crudeltà. Non manca il risvolto e lo smacco finale, non manca la domanda che accompagna il lettore per tutta la narrazione alla ricerca di una risposta. Chi è davvero il padre? Chi è davvero il figlio? Deve il padre accettare il figlio come il figlio accettare e riconoscere il padre?
Un titolo diverso dal solito, un libro che nella sua parte iniziale non sembra nemmeno essere dell’autrice Belga, forse meno originale di altri ma estremamente piacevole, riflessivo e duro nella sua morale e nella sua riflessione intrinseca.
«[…] Il nostro primo pubblico siamo noi stessi, dal momento che ci si esercita davanti allo specchio. E le ore che passiamo da soli davanti alla nostra immagine ci regalano l’umiltà.»
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