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Perché noi portiamo il fuoco
Trama: Un uomo e un bambino, padre e figlio. Spingono un carrello pieno del poco che è rimasto loro. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un'apocalisse che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni.
Cenere e nebbia, pioggia (quasi) incessante e un grigiore che avviluppa ogni cosa. Città ridotte a cumuli di ruderi marcescenti, gli uomini, ormai liberati dal giogo della legge e dal senso morale, mossi da istinti ferini e primitivi, sono pronti ad uccidere nei modi più brutali per garantirsi la sopravvivenza. Nel futuro credono ancora due emaciate figure, padre e figlio, in viaggio verso il mare, coperti di sporcizia da capo a piedi, sempre all'erta perché il pericolo può celarsi ovunque. McCarthy, con stile ipnotico e minimale ci trascina in luoghi irriconoscibili, dove le persone (prive di nome) abbassandosi ad istinti animaleschi, hanno perso la loro identità umana. Quella dignità perduta è difesa strenuamente da un uomo che vede nel figlio l'ultimo barlume civile da preservare quindi ad ogni costo. La prosa dell'autore tutt'altro che pregna di eventi, è poesia non dichiarata, ammirevole istigazione alla riflessione, elogio luminoso nel buio più pesto.
Apparentemente distaccato eppure amorevole come solo un padre sa essere, l'uomo vede nell'innocenza violentata del figlio il metaforico fuoco (citato più volte), ovvero l'elemento capace di far tornare ad ardere d' amore e altruismo i cuori imbarbariti. Commovente, statico, malinconico con un finale straziante: "La strada" è semplicemente un capolavoro.
-Ce la caveremo, vero, papa'?
-Sì. Ce la caveremo.
-E non ci succederà niente di male.
-Esatto.
-Perché noi portiamo il fuoco.
-Sì. Perché noi portiamo il fuoco.
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