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Shuggie e Agnes
«Come aveva potuto già constatare altre volte, quelli che meno avevano da dare erano sempre quelli che davano di più»
Hugh Bain, detto Shuggie, è appena un adolescente in quel 1992 fatto di una casa improvvisata, un affitto da pagare con quel poco di guadagnato alla giornata e quella scuola da frequentare il più possibile per non dar nell’occhio con quelle assenze ingiustificate. Ma chi è Shuggie? Com’è finito in quel del South Side in quell’inizio degli anni Novanta? Torniamo indietro nel tempo. È il 1981 e siamo a Glasgow, una città un tempo fiorente e prosperosa con le sue miniere, una città che adesso sta morendo sotto i colpi del thatcherismo e dell’evoluzione del consumismo. Shuggie è un bambino diverso dagli altri. Non ama i giochi dei maschietti, preferisce le bambole e le sue movenze sono un po’ troppo diverse da quelle dei suoi coetanei. Figlio di Agnes Bain, giovane donna che dalla vita si aspettava denaro e fortuna e che invece è incappata in due matrimoni sbagliati, l’ultimo dei quali con un tassista che l’ha distrutta tra tradimenti e vessazioni, tra colpi al cuore e al fisico tanto da condannarla a una dipendenza da alcol e anche sostanze stupefacenti, è cresciuto come meglio può insieme agli altri due fratelli sino a che iniziano ad essere loro a prendersi cura di lei.
«Lei lo amava e lui aveva dovuto distruggerla completamente prima di abbandonarla. Agnes Bain era una cosa troppo rara perché potesse amarla qualcun altro. Non doveva lasciare di lei nemmeno i cocci, che un domani un altro uomo avrebbe potuto raccogliere e aggiustare.»
Passano i giorni, passano gli anni e piano piano tutti sono costretti a staccarsi da quella madre avvolta in una pelliccia di visone sporca e spelacchiata, con le mani tremolanti per il non bere e con l’attesa del giorno del sussidio per correre a comprare altro liquore. Solo Shuggie mantiene la speranza e, nel suo crescere fatto di alti e bassi, violenze e traumi, cerca di starle accanto e al tempo stesso di farsi accettare. Perché il bambino con i suoi modi eleganti, la sua parlantina forbita, il suo essere un po’ un principe in una gabbia di povertà, il suo non essere amante delle donne, è la vittima perfetta per gli scherni. Tuttavia, se diventerà una persona “normale”, se riuscirà a fingere di esserlo, forse, riuscirà a farsi accettare.
«Stava per piovere ed era lunga arrivare a piedi fino a Sighthill. Era stanco, era stanco ormai da molto tempo. Non desiderava altro che un po’ di riposo.»
Due storie di margini e confini sono quella di Shuggie, Agnes e anche di tutta la loro famiglia in una Glasgow – e in una realtà – sempre più chiusa e meno incline ad accogliere i reietti e i disperati. Se la madre è infatti ostracizzata dalle altre donne e usata dagli uomini, lui è vittima di quel machismo che non gli appartiene e di quel bullismo a cui non può e non riesce a sottrarsi. Ed è ancora, “Storia di Shuggie Bain”, una grande e infinita storia d’amore tra una madre e un figlio, un figlio che ama sua madre nonostante i suoi difetti e le sue mancanze. Due volti del dolore caratterizzati da una poetica infinita e che riportano alla luce del lettore anche la vita stessa di Stuart che perde la mamma a sedici anni proprio a causa dell’alcolismo e delle dipendenze vissute proprio in quel di Glasgow. Agnes, in questa vicenda, sa essere estrosa e curata quanto tranquilla seppur fiacca nel suo tentare di nascondere i suoi problemi mentre Shuggie spicca per la sua empatia e il suo esser capace di non cedere mai alla rabbia e alla paura. Ed è proprio l’empatia ciò che più emerge in queste pagine perché tanto nessuno dei figli giudica la madre, tanto l’autore e il lettore non lo fanno. Mai alcuno pone il suo indice verso di lei e le sue colpe e lacune quale genitore. Perché, come dice Shuggie, Agnes è sua madre ed è il suo riferimento e deve provare ad “aggiustarla” anche se è rotta.
A far da contrasto e cornice vi è Big Shug, il cattivo del romanzo intriso di violenza, rozzo e per natura vendicativo e nondimeno a sua volta vittima della comunità, della costa scozzese, della politica e del meccanismo sociale che governa quegli anni. È il sistema a giudicare la famiglia, a condannarla a uno status di povertà e denigrazione.
Un titolo, quello proposto da Stuart, che nella versione originale è intriso anche del gergo tipico di Glasgow e che rende la narrazione ancora più autentica. Un titolo vincitore meritatamente del Booker Prize 2020 che giunge al lettore con forza devastante, scuotendolo, obbligandolo a riflettere, suscitando in lui domande che cercano risposte, analisi che non mancano di suscitare altrettante analisi. Un libro ricco, profondo, duro, difficile che lascia il segno.