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una comunità di destino
É probabile che Ishiguro abbia tratto ispirazione dalla vicenda della pecora Dolly, la prima clonazione avvenuta proprio nel Regno Unito alla fine degli anni novanta, e che suscitò un ampio dibattito su etica e scienza. Kathy, la protagonista del romanzo, vive infatti negli anni novanta, le date della morte di Dolly, avvenuta nel 2003, e l'uscita del romanzo nel 2005, non mi sembrano del tutto casuali.
Un romanzo straniante, difficile, ma coinvolgente e perfetto nella scrittura.
Difficile scriverne senza svelarne la storia, per questo mi concentro sulle sensazioni suscitate.
I ricordi di Kathy sono minuscoli e dettagliati aneddoti nei quali si avverte la totale privazione di affetti famigliari e, allo stesso tempo, il desiderio di rendere questi ricordi affabulanti e costitutivi della propria storia.
Una sorta di recherche proustiana deprivata della sua essenza, un lavoro di svuotamento credo molto faticoso per lo scrittore, ma assolutamente funzionale alla storia.
Il lettore impara presto ad amare i tre giovani protagonisti, per sopperire almeno in parte alla solitudine affettiva imposta dal loro destino e non solo, perché nel corso degli anni saranno condannati a vivere esclusivamente tra di loro e con “quelli come loro”, una comunità di destino tristemente sfruttata ed emarginata.
Le questioni che affronta questo romanzo sono tante e immense: non riguardano solo il rapporto tra noi e la scienza e fino a dove è consentito spingerci, riguardano il nostro attaccamento alla vita nonostante la consapevolezza e l'incapacità di darle un senso, riguardano la tradizione religiosa che giustifica il sacrificio di innocenti. Si possono intravedere la nascita dell'eugenetica e i corpi nudi e privati di tutto delle vittime dell'olocausto, e ancora, altri lager, quelli degli animali da reddito, i cui corpi diventano lombate, prosciutti e costatine per i nostri innocenti barbecue; riguardano il dominio, la biopolitica e molto altro.
La meraviglia del romanzo è proprio quello di far emergere nel lettore tutte queste questioni, in un racconto che non prevede (se non in pochissimi casi funzionali alla storia) la presenza “umana”, ma solo la desolazione della sua tracotanza e ambizione.