Dettagli Recensione
Top 50 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Bisogna essere felici
"Maggiordomi di minor levatura sono pronti, alla minima provocazione, a metter da parte la loro figura professionale per lasciare emergere la dimensione privata. Per simili personaggi, fare il maggiordomo è come recitare in una pantomima; basta una piccola spinta, ed ecco che la facciata cade scoprendo l’attore che c’è sotto. I grandi maggiordomi sono grandi proprio per la capacità che hanno di vivere all’interno del loro ruolo professionale e di viverci fino in fondo". Per Stevens fare il maggiordomo non è semplicemente un lavoro, è una vera e propria missione, una vocazione che richiede cieca obbedienza al dovere, massima devozione alla causa. Aspirando alla dignità, elemento fondamentale per qualsiasi maggiordomo degno di questo nome, Stevens esegue il suo compito estraniandosi da tutto ciò che esula dal governo della casa. Sentimenti, idee personali, esigenze, vengono messi da parte. Alla stregua di un automa, il protagonista è capace di continuare impassibilmente il servizio mentre il padre muore a pochi metri da lui, a dimostrare servile devozione al proprio padrone anche quando questi dimostra discutibili simpatie politiche, a lasciarsi scappare quell'amore che sarebbe stato capace di cambiargli la vita. Intransigente con se stesso e con i suoi collaboratori, sempre impeccabile e in grado di prevedere ogni cosa, incapace di godere di un minimo di riposo, alle soglie della vecchiaia l'uomo è costretto ad un implacabile faccia a faccia con la propria esistenza. A bordo della fiammante Ford che il suo nuovo datore di lavoro americano gli ha messo a disposizione, Stevens attraversa la campagna inglese per quella che è la prima vera vacanza della sua vita. Un viaggio in auto per visitare luoghi bellissimi che ha sempre avuto vicino ma che non ha mai potuto raggiungere, sempre troppo impegnato con il dovere, con l'obiettivo finale di rivedere miss Kent, vecchia collaboratrice con cui ha sempre avuto un rapporto tormentato, per proporle di ritornare a lavorare insieme a seguito del fallimento del suo matrimonio. Perso tra le amenità del paesaggio, il protagonista si abbandona a ricordi sempre e indissolubilmente legati alla vita professionale, arrivando inevitabilmente a redigere un bilancio della sua vita. Bilancio che, dopo un'esistenza in cui ha messo da parte tutto ciò che conta veramente, non può che risultare passivo. Ma ormai è troppo tardi per tornare indietro. Il passato non si può più cambiare, si può solo cercare di immaginare con rammarico quello che poteva essere e non è stato, cercando, quando ormai la sera dell'esistenza è vicina, di vivere nel migliore dei modi quel che resta del giorno. “Bisogna essere felici. La sera è la parte più bella della giornata. E forse allora vi è del buono nel consiglio secondo il quale io dovrei smettere di ripensare tanto al passato, dovrei assumere un punto di vista più positivo e cercare di trarre il meglio da quel che rimane della mia giornata”.
Indicazioni utili
Commenti
8 risultati - visualizzati 1 - 8 |
Ordina
|
Chiaramente, anche a me tutta l'acritica adesione al suo lavoro (a 'quel' lavoro in 'quel contesto ') m'è parsa per lui sminuente. Lui però 'ci credeva' e si può dire si sia realizzato. Una visione penso piuttosto giapponese, considerate le origini dell'autore. Ma ben fuse con la tradizione inglese.
8 risultati - visualizzati 1 - 8 |
Un libro , letto e riletto, sempre incantato dalla scrittura dell'autore.
Rispetto a quanto dici del fallimento esistenziale del protagonista, io ho avuto una diversa percezione : egli non fa un bilancio negativo della propria vita, anzi realisticamente consola la sua ex collega (lei sì convinta di 'aver sbagliato tutto '), dicendole come ogni vita è imperfetta e la invita a cogliere positivamente il suo futuro come nonna. Mi pare sia questa la 'lezione' sulle dolcezze di quel che resta del giorno.
Certo, durante il romanzo, ho avuto anche indignazione verso il personaggio, quando non collabora a salvare le due ragazze ebree ...