Dettagli Recensione
KCZ 114 E ZDENA
«Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo.»
Con “Acido Solforico”, classe 2005, Amélie Nothomb ci fa destinatari di un romanzo come nel suo solito intriso di uno stile dialogico anche se in minore parte rispetto ai precedenti e caratterizzato ancora una volta da due protagoniste che sono l’una lo specchio dell’altra seppur siano lontanissime: Pannonique, ventenne studentessa, che si ritrova carcerata con il nome CKZ 114, e Zdena, che si riscopre immediatamente Kapò.
Teatro ove le vicende prendono campo e si sviluppano è Concentramento, un luogo strutturato e ricostruito esattamente come i campi di concentramento nazisti ma con un’unica differenza: ciò che accade all’interno di questi è seguito in diretta da tutti coloro che dispongono di un semplice apparecchio televisivo. Ciò che cioè viene realizzato è un Reality Show in piena regola ma con un palcoscenico diverso e dove ogni atrocità che viene vissuta dai detenuti è accettata da chi guarda.
«E allora, ecco la mia domanda: che cos’è la normalità? Cos’è il bene e cos’è il male? È tutta una questione culturale.»
Eh sì, perché dal momento in cui la diretta di Concentramento diviene effettiva a tutti gli effetti ecco che diventa semplicemente virale. I giornali non fanno che parlarne, i telespettatori si accalcano davanti alla televisione e non perdono una puntata o un aggiornamento. Mai si sono registrati indici di share così alti e così seguiti dal pubblico. E a nulla serve che i giornalisti ne evidenzino le atrocità, i telespettatori sono semplicemente in visibilio. Lo stesso non parlarne, adottare la tattica del silenzio da parte della stampa, ne comporta una crescita. Crescita, questa, che diventerà ancora più totalizzante nel momento in cui al telespettatore sarà concesso anche di scegliere delle sorti del detenuto privando così del loro ruolo i carcerieri.
Ma chi è il vero colpevole? Il Kapò? Il carceriere che fustiga e punisce i suoi detenuti? O forse il vero colpevole altro non è che lo spettatore che osserva il programma, se ne indigna eppure non se ne stacca, o ancora che ne è coinvolto e affascinato, talmente colpito da non riuscire a sottrarsi al magnetismo del meccanismo ormai in atto? Come può un uomo che si indigna tollerare un tale programma e più ancora la sofferenza che si cela dietro alla sua messa in onda? Come può un uomo ammettere quella violenza e continuare a seguire quel determinato programma senza il minimo di sdegno e anzi una tolleranza tale da giustificare il proprio coinvolgimento attivo?
A far da voci portanti due donne estremamente diverse, l’una, vittima ed eroina perfetta con il suo volto idilliaco e quel portamento che mai si piega e spezza, l’altra che accetta subito di essere “il cattivo di turno” ma che eppure, tra tutti, si erge da antagonista a protagonista essendo colei che più cresce e più matura nello scritto arrivando a sorprendere e stupire.
Quanto vale davvero un nome? Qual è il suo peso? Quanto pesa davvero il nome?
Terzo volto della storia Pietro Livi chiaro omaggio a Primo Levi a cui l’autrice è affezionata.
“-E non è tutto. Ho deciso di far fellice la gente.
-Ah – disse Pietro Livi, costernato all'idea di vedere la sublime Pannonique lanciarsi nella beneficenza. -E come? Diventerà una dama di carità?
-No. Sto imparando a suonare il violoncello.
Lui rise sollevato.
- Il violoncello! È magnifico. E perché il violoncello?
- Perché è lo strumento che somiglia di più alla voce umana.”
Come sempre la Nothomb ci fa destinatari di un romanzo ricco di spunti di riflessione, che scuote l’anima, che non lascia indifferenti e che induce il lettore a guardarsi allo specchio. Una Amélie ai suoi massimi livelli.
Indicazioni utili
Commenti
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |
Ordina
|
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |