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Viziati fino allo stato uterino di nullafacenza
Dopo aver letto Infinite Jest, David Forster Wallace aveva segnato la mia coscienza di lettrice facendomi apprezzare il postmodernismo americano e uno stile di scrittura straordinario che non avevo ancora assaggiato. Abituata ad apprezzare i classici dell’Ottocento, con qualche capatina anche nel Novecento e nel contemporaneo, all’ inizio mi sono trovata completamente disorientata, ma poi sono riuscita ad apprezzare in pieno tutto il voluminoso libro, note comprese.
Le opinioni che qui ho letto sono abbastanza negative, il mio giudizio sarà controcorrente. Per apprezzare questo libro, bisogna dimenticare Infinite Jest, si tratta di due figli dello stesso padre ognuno con le proprie caratteristiche e la propria “fisiologia”. Fisiologia perché “Una cosa divertente che non farò mai più” è un reportage sui generis di una crociera extra lusso e non è pensato come un romanzo, una lunga storia di ampio respiro dai mille personaggi e dalle mille storie.
Intenzioni diverse, obiettivi diversi, il virtuosismo stilistico è lo stesso però. “Una cosa divertente che non farò mai più “ è breve e circoscritto, meno faticoso da leggere, molto più umoristico. A me è piaciuto veramente tanto, mi ha regalato qualche ora rilassante e tante risate! Non leggo per sorridere, ma di questi tempi ben venga la sana risata, questo libro contiene scenette esilaranti! E non si scende nel banale e nel trito, lo stile di Wallace così ironico, così tagliente nel rappresentare l’animo umano in tutte le sue sfaccettature, le sue stranezze, le sue manie. Il libro è una recensione che lo scrittore realizzò per la rivista Harper ‘s che gli chiedeva un reportage sulla crociera extra lusso Zenith (ma che l’autore battezza col nome opposto, Nadir, in barba alla compagnia Celebrity Cruises) in rotta verso i Caraibi dove ha imparato che “ in realtà ci sono intensità di blu anche oltre il blu più limpido che si possa immaginare”. Una crociera che si impone come obiettivo quello di coccolare e viziare i suoi ospiti paganti a bordo con feste, simpatici concorsi a premi, spettacoli vari e tanto tanto cibo, dalle colazioni luculliane ai Buffet di Mezzanotte.
E i personaggi che incontra? Un ricco campionario di uomini, donne, persino ragazzini, che Wallace descrive come se fossero degli esemplari unici nel loro genere. Dalle prime pagine, fa l’elenco di tutte le prime volte e le cose che ha imparato:
“Sono stato oggetto in una sola settimana di oltre 1500 sorrisi professionali. Mi sono scottato e spellato due volte. Ho fatto tiro al piattello sul mare. È abbastanza?(...) Ho sentito – e non ho parole per descriverla – una musichetta da ascensore in versione reggae. Ho capito cosa significa avere paura del proprio water. Ho imparato ad avere il «piede marino» e ora mi piacerebbe perderlo.”
Ho riso tantissimo, di cuore, quando ho letto le pagine sullo sciacquone “ad alto tiraggio” e lo spiacevole esilarante episodio successo alla signora Peterson il cui marito sembra “sempre in posa per una fotografia che nessuno sta scattando”.
Giunge però ad un certo punto il pensiero più vero e profondo di Wallace, quello che spesso lo sorprendeva e che lo ha poi portato a togliersi la vita, la depressione, l’horror vacui della solitudine più profonda e più autentica:
“In queste crociere extralusso di massa c’è qualcosa di insopportabilmente triste. Come la maggior parte delle cose insopportabilmente tristi, sembra che abbia cause inafferrabili e complicate ed effetti semplicissimi: a bordo della Nadir – soprattutto la notte, quando il divertimento organizzato, le rassicurazioni e il rumore dell’allegria cessavano – io mi sentivo disperato. Ormai è una parola abusata e banale, disperato, ma è una parola seria, e la sto usando seriamente. Per me indica una semplice combinazione – uno strano desiderio di morte, mescolato a un disarmante senso di piccolezza e futilità che si presenta come paura della morte. (...) angoscia. Ma non è neanche questo. È più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati senza alcun dubbio alla morte. E viene voglia di buttarsi giù dalla nave”.
Anche in questo libro le note sono parte integrante del testo, vanno lette per una conoscenza globale dell’opera, si presentano talvolta dei veri e propri racconti scritti in font più piccoli.
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