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Vardo
“Vardo. Dopo la tempesta” è una storia che si apre in uno dei periodi più bui della Storia dell’occidente ed è ancora un titolo che ruota attorno alla superstizione, al degrado, all’ignoranza, alla crudeltà e alla repressione del più debole e di ogni forma di autodeterminazione. È un titolo che si snoda attorno alla caccia alle streghe, all’Inquisizione radicata nella realtà nordica ma soprattutto attorno a fatto storico realmente accaduto. Vardo, infatti, nota quale capitale delle streghe della Norvegia, fu colpita in quel lontano 1617 da una terribile burrasca che tutti colse impreparati tanto da mietere tutte vittime maschili. A riva furono riportati soltanto i corpi di quegli uomini periti, le cui donne furono lasciate completamente sole. Ciò fu l’espediente per eccellenza per urlare alla stregoneria in quanto furono proprio le figure femminili ad essere accusate di aver causato la tempesta avvalendosi dell’aiuto del Diavolo.
«Vardø è un’isola, il porto sembra un morso staccato da un lato, per il resto la costa è troppo ripida o troppo rocciosa per mettere in mare le barche. Maren ha conosciuto le reti prima ancora di conoscere il dolore, le intemperie prima di conoscere l’amore. D’estate le mani di sua madre scintillano di squame di pesce, i filetti appesi fuori a salarsi ed essiccare come fasce per neonati, oppure avvolti in pelle di renna e sepolti a fermentare. Pappa diceva sempre che era il mare a dare forma alla loro vita. Hanno sempre vissuto per sua grazia e per grazia sua sono morti. Ma la burrasca l’ha reso un nemico e discutono brevemente di andarsene.»
Queste otto donne accusate di atti impuri con il diavolo quel 24 dicembre 1617 avrebbero scatenato la tempesta con l’unico fine di uccidere i quaranta uomini dell’isola per prenderne il possesso. Per quanto le abitanti tentino di ripristinare un ordine e un equilibrio, questo viene messo subito in discussione dal sopraggiungere del sovraintendente Cornet, in arrivo dalla Scozia per ordine del Lensmann del Finnmark, e a seguito di un editto contro la stregoneria emanato appunto dal re di Danimarca e Norvegia Cristiano IV, deve indagare sui sospetti che ruotano attorno alle sopravvissute. Qui egli è accompagnato dalla moglie Urdola, detta Ursa, che non conosce il mondo al di fuori della sua dimora e che, al contempo, non è capace di gestire una casa così come di soddisfare il proprio compagno. A Vardo scoprirà una realtà che la obbligherà a maturare.
«Non l’avrebbe mai immaginata, quell’oscura cognizione che tutte le mogli sono costrette ad acquisire: i mariti squarciano per sé uno spazio dentro i loro corpi.»
Ha inizio da queste brevi premesse l’opera della Hargrave, un elaborato che ha il grande merito di riuscire a rendere perfettamente le atmosfere e il clima del tempo ma anche quelle dei luoghi con tutte le loro difficoltà ambientali. Se i personaggi sono descritti in modo diretto ma abbozzato tanto da emozionare ma non suscitare empatia, le stesse ambientazioni sono caratterizzate nel minimo. La narrazione procede con un ritmo un poco altalenante – prima lento, poi più rapido, poi nuovamente più cadenzato – e con parti che diventano più concrete soltanto nel proseguire dell’opera e altrettante, al contrario, immediatamente incisive. A far da scenario ma non per questo in secondo piano, la ricostruzione storica che non manca di dettagli tali da rendere immediata la percezione sensoriale del periodo.
Non è un libro semplice, non è un libro da leggere per staccare. È uno scritto che regala emozioni ma che soprattutto porta alla riflessione, che sfida, in un certo senso, il lettore e che per questo è consigliabile leggere nei momenti più di calma e non in quelli più caotici. Il rischio è di non riuscire a godersi del viaggio e del lascito del componimento.