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Una gradevole superficie
Incuriosito da diversi commenti trovati via “social” e dalle recensioni che ricordavo in questo sito, mi sono finalmente deciso ad arrampicarmi fino allo scaffale più alto della mia libreria per recuperare dalla polvere una raccolta di racconti di Dürrenmatt, “colpevolmente” (è il caso di dirlo) abbandonata da oltre vent’anni, come incontrovertibilmente attestato dal prezzo ancora espresso in lire.
Il racconto che chiude la raccolta è “La panne. Una storia ancora possibile”. Appena 38 pagine nell’edizione scritta fitta dell’Universale Economica Feltrinelli. Un gioiello.
Prima lo scrigno: due pagine un po’ ostiche in cui l’autore si chiede se al giorno d’oggi (1956) esistano ancora, nella noiosa normalità e nel magma quotidiano di fatti, statistiche e immagini in cui siamo immersi, delle storie ancora possibili, “degne di uno scrittore”.
E poi eccola la storia: piccola e scintillante, avvolta da ombre inquietanti e minacciose, ci tiene meravigliati e sospesi dalla prima all’ultima riga e poi colpisce il bersaglio con lucida perfidia.
Un’allegra compagnia di vegliardi, dal fisico corrotto e decrepito eppur sinistramente imponente, dall’abbigliamento trasandato, vestigio di antica opulenza ed agiatezza, processa un uomo nel pieno delle sue energie vitali, che nella sua automobile costosa, finita improvvisamente in panne, vede il simbolo del suo successo, della sua ascesa, della sua lotta trionfale per la vita. Il capo di imputazione? Irrilevante, perché qualcosa da sottoporre a processo lo si trova sempre, tanto nei grandi personaggi storici (Socrate, Gesù, Giovanna D’Arco, Dreyfus, Federico il Grande) quanto nelle persone anonime e comuni.
Siamo tutti colpevoli quindi? La giustizia è una lotteria dalla quale ci si salva per fortuna anziché per merito? No, perché tutti colpevoli significa nessun colpevole e invece la colpa e la responsabilità restituiscono grandezza ed autenticità all’uomo. L’assenza di giudizio, di condanna e di pena appiattisce tutto nella normalità, nel grigiore, nell’assolutorio magma quotidiano dove non ci sono più storie, non ci sono più uomini, non c’è più verità. Invece l’accettazione della condanna è “il risultato di una morale indefettibile che perfeziona conseguenzialmente la vita come opera d’arte, svela l’umana tragedia, l’illumina, le fa assumere una forma impeccabile, la esalta”.
Il lauto banchetto, le abbondanti libagioni coccolano e accompagnano l’inesorabile affluire della coscienza, tanto più spontaneo quando i sensi sono appagati e i freni si allentano.
Quando la vista esteriore si offusca, si può guardare più in profondità dentro se stessi e riconoscere nitidamente l’ombra minacciosa della colpa stagliarsi nel chiaroscuro dello scherzo.
Non ci può essere che la pena per celebrare degnamente quest’accecante epifania di verità, per riscattarsi dalla mediocrità, dagli espedienti, dagli affanni, per concludere degnamente la serata più bella, “perché quella notte per la prima volta aveva capito cosa significa condurre una vita autentica…alla quale necessitano appunto concetti più elevati di giustizia, di colpa e di espiazione… e comunque l’espressione ‘rinascita’ gli appariva la più adeguata per definire la gioia che lo sconvolgeva, lo permeava, lo scuoteva come un turbine impetuoso”.
E’ a questo punto che diventa assolutamente necessario un sufficiente livello di distacco, di lucidità, verrebbe da dire di sobrietà. Quella mediocre vita quotidiana che tutto copre e tutto assolve è pur sempre una vita, mentre l’accecante bagliore della verità può confondere e annichilire un animo semplice. Fermiamoci quindi al gioco, alla finzione, evitiamo di trarne pericolose conclusioni.
Proprio a questo ci invita Dürrenmatt nell’offrici questa “storia possibile”: limitiamoci “a una gradevole superficie e ad essa soltanto”. Che perfido genio!
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Commenti
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bella recensione per un racconto che è probabilmente tra i più geniali che io abbia mai letto.
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