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Dietro la porta di casa
Storia forte e intensa questa della Szabo, che attraverso un evidente simbolismo rappresentato da una porta invalicabile, da un accesso ad un’abitazione privata chiuso e interdetto a tutti tranne che alla legittima occupante, affronta temi importanti che riguardano i concetti di fiducia, fedeltà e amicizia. Perché accedere oltre quella porta significa entrare in una cerchia di esclusività mai concessa dalla proprietaria nemmeno ai parenti più stretti (“nessuno degli inquilini era mai riuscito ad andare oltre l’atrio davanti al suo appartamento”), ed allo stesso tempo significa accettare un “codice di comportamento” che implica il rispetto di regole ferree. Su questa sottile linea di confine l’autrice costruisce il romanzo che si snoda nel rapporto di “amore e odio” tra Magda, scrittrice improvvisamente baciata dal successo che assume in qualità di governante Emerenc, donna “tutto fare” dotata di grande carisma, conosciuta da tutto il vicinato per la generosità e l’abnegazione che mostra nel dedicarsi agli altri, ma allo stesso tempo inaccessibile e dal passato alquanto misterioso, talmente originale che è lei stessa a richiedere le referenze al proprio datore di lavoro prima di accettare un impiego (“Emerenc era imprevedibile, irresistibile, con lei non si poteva fraternizzare, fare amicizia né discutere, era coraggiosa, era dotata di un’intelligenza perfidamente affascinante, ed era di un’insolenza mortificante”). Attraverso la narrazione di Magda, una sorta di confessione a posteriori che viene percepita dal lettore come una catarsi necessaria, diventa così possibile non solo ricostruire progressivamente il passato di Emerenc, come se si trattasse di un puzzle che prende forma, ma soprattutto si definisce il rapporto tra queste due protagoniste a modo loro complementari. Due donne appartenenti a due mondi distanti ed apparentemente non comunicanti: Magda è una scrittrice di successo, una donna di cultura impreparata nelle faccende domestiche e poco incline a comprendere la psicologia altrui, mentre Emerenc invece appartiene ad un retroterra contadino che si realizza nello spirito di sacrificio e nel duro lavoro, poco capace di dimostrare affetto con le parole ma in grado di farlo invece attraverso le azioni quotidiane. Eppure, nonostante questi elementi di partenza, nonostante Emerenc non permetta a nessuno di entrare nella sua casa, di varcare quella porta che rappresenta l’accesso al suo mondo più intimo e segreto, tenendo a debita distanza vicini e consanguinei, riuscirà a stabilire un rapporto empatico con Magda spezzando quello strato di ghiaccio superficiale sotto al quale brucia un fuoco d’amore vivo (“Voi eravate la luce dei suoi occhi, la sua figlia”). Un legame forte che si alimenta nella quotidianità del rapporto tra le due donne, vissuto tra complicità e scontri, la cui “cartina al tornasole” è rappresentata dalla figura di Viola, cane maschio dal nome femminile (il romanzo rivelerà l’arcano), che sembra riconoscere però quale sola e vera padrona Emerenc anziché Magda.
Leggere quest’opera della Szabo è come vivere un’esperienza reale con una persona dalla quale ci sentiamo attirati e che allo stesso tempo non comprendiamo pienamente. Perché varcare la soglia di quella porta, entrare nella vita di Emerenc, rappresenterà per Magda (e forse per tutti i lettori), un avvenimento traumatico che causerà profonde ripercussioni nel rapporto tra le due donne, sollevando questioni che avranno a che fare con la fiducia, il perdono ed il tradimento. Stiamo quindi parlando di un libro che molto probabilmente meriterebbe il massimo dei voti, tanto per contenuto quanto per piacevolezza, ma che per quanto mi riguarda non è riuscito a toccarmi veramente nel profondo a causa di una mia difficoltà nell’accettare e comprendere fino in fondo la figura di Emerenc così come è stata tratteggiata dall’autrice: certi suoi comportamenti, certe sue affermazioni. Ma si tratta indubbiamente di un mio limite personale che però, inevitabilmente, influisce sulla valutazione complessiva di un’opera che rimane di grande spessore.
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Ho sentito parlare bene anche di "Via Katalin" e "La ballata di Iza", per quanto siano opere meno conosciute de "La Porta".