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UNA BISNONNA PER AMICA
Contiene qualche inevitabile anticipazione.
Protagonista della storia è Lenore, impegnata nella ricerca della bisnonna, che ha il suo stesso nome ed è fuggita dalla casa di riposo con un folto gruppo di ospiti. Ha un compagno, Rick Vigorous, titolare della casa editrice per la quale lavora in qualità di centralinista. Un centralino impazzito, che i tecnici tentano invano di riparare, fino alla soluzione finale, anch’esso testimone dell’ingorgo comunicativo in cui siamo immersi. Come nei romanzi d’amore che si rispettano, tra i due si insinua un terzo incomodo, Andrew Salanger Lang, detto Wang-Dang Lang, contraltare di Rick, con la sua prorompente vitalità opposta alla debolezza e all’impotenza del rivale: Vigorous è uno dei tanti “nomi parlanti”, in questo caso al contrario, di cui il romanzo abbonda.
Sullo sfondo, la società americana con le sue fragilità, gli eccessi, la solitudine, il problematico rapporto con gli anziani, le assurde e comiche distorsioni della comunicazione, la tirannia della televisione. Surreale, tra le tante, la storia del pappagallo di Lenore, Vlad l’Impalatore, assurto alla gloria delle ribalte televisive per i suoi messaggi tra pornografia e teologia, e utilizzato da un telepredicatore per incrementare iscrizioni e contributi. Si intuisce che l'exploit linguistico del pennuto possa derivare dalla somministrazione di un portentoso alimento per l'infanzia della ditta di cui è titolare il padre di Lenore e la cui formula era in possesso di un'amica di Lenore senior, anch'essa ospite della casa di riposo. Intrise di umorismo e di umanità sono anche le numerose storie di anziani nelle case di riposo, come quella dell'arzilla bisnonna e della nuora Concardine, senza trascurare il breve ma toccante ricordo della nonna da parte di Lang.
Un ruolo di primo piano ha la psicanalisi, altro mito americano, con tanto di verbali delle sedute dei protagonisti (la mescolanza dei materiali è tipica del postmoderno), le strategie grottesche del dottor Jay, che indossa una maschera antigas ogni volta che avverte “odor di breccia”, cioè ritiene di essersi avvicinato al nucleo profondo dei traumi e dei complessi dei suoi pazienti, quando scricchiola il loro solipsismo ed essi cominciano a rendersi conto del rapporto insano tra il proprio Io e l’Altro. Questo terapeuta bizzarro e poco professionale sostiene di ispirarsi alle “Conferenze sull’igiene” di un certo professor Blentner, ma è un falso colossale. L’idea è che ognuno di noi sia come una membrana che può, se e quando vuole, aprirsi all’Altro e farlo entrare dentro di sé, ma solo se è libero ed autonomo. Altrimenti resterà impenetrabile e potrà al massimo essere sporcato da un amore morboso e possessivo . Di questo tipo è il sentimento di Rick per la protagonista, questa è la chiave di lettura necessaria per comprendere Norman Bombardini, che dopo una delusione amorosa - non è riuscito a dimagrire e la moglie l’ha lasciato- ha deciso di ingrassare fino al punto di inglobare l’intero mondo esterno e di concedere un piccolo spazio solo a Lenore, di cui si è innamorato con grave rischio per lei e per tutti.
Sì, perché la realtà è sottoposta da Wallace ad un continuo processo di deformazione, che sfocia in una serie di situazioni surreali, invenzioni paradossali, esagerazioni verbali che, partendo da una ben riconoscibile realtà psicologica o sociale, generano fatti e personaggi iperbolici, che si stenta a comprendere se si rimane legati ad una prospettiva realistica. Wallace mescola piani narrativi e linguaggi, intreccia le traiettorie dei personaggi, legandoli gli uni agli altri in una girandola inesauribile di relazioni, di scambi, di incontri: ad esempio, Lang è il ragazzo che, insieme ad un compagno di studi, aveva fatto irruzione, nove anni prima, nella stanza del collegio dove Lenore si trovava in visita alla sorella Clarice. I personaggi, numerosissimi, al punto da richiedere uno sforzo supplementare di attenzione (si consiglia di approntare uno schemino per non confondersi) hanno tutti una individualità spiccata, un pregresso che da solo potrebbe fornire la trama ad un racconto “tradizionale”.
Questa affabulazione così esuberante trova conferma nelle numerose storie che interrompono il plot principale, ribadendo, se mai ce ne fosse bisogno, l’ascendenza postmoderna del romanzo di Wallace. Spiccano in questo senso i racconti, alcuni dei quali splendidi, che Rick riceve da aspiranti scrittori in cerca di pubblicazione, di cui affiderà in un secondo momento la lettura alla stessa Lenore (salvo inserire tra questi una propria creazione e vedersela bocciare dall’amante ignara). Inutile dire che in queste narrazioni si colgono legami con le vicende dei protagonisti e indizi di successivi svolgimenti, come il bellissimo racconto della donna che nascondeva una raganella nella piega del collo.
Lo stile di Wallace è di una varietà geniale: ora descrittivo in modo addirittura pignolo nel definire e squadrare ambienti, paesaggi, oggetti e tecnologie, ora lanciato in allusioni simboliche e metaforiche da decifrare, ora intessuto di periodi lunghissimi, interminabili, ricchi di germinazioni ed espansioni attraverso causali, avversative, relative, coordinate, consecutive, come avviene quando la voce narrante è quella di Rick, definito dal suo antagonista Lang “ampollosa cornacchia”. Brillano i dialoghi, frequenti ed estesi, con uso ripetuto dei puntini sospensivi o del trattino per le battute mancate e omesse.
Ma il romanzo non è solo questo. C’è alla base un continuo rimando alle tesi filosofiche di Wittgenstein, grande filosofo e logico austriaco del Novecento. Già il titolo ne è un segnale. Il fratello di Lenore, LaVache, detto l’Anticristo, altra formidabile invenzione, ricorda che una volta la bisnonna, wittgensteiniana di ferro, gli chiese quale fosse la parte più importante della scopa e, per dimostrare che non esisteva una risposta assoluta, ruppe un vetro davanti ai nipoti allibiti brandendone il manico: al bisogno, questo può essere più utile della spazzola.
Viene qui riportata la tesi delle “Ricerche filosofiche”, in cui il filosofo sostiene il carattere funzionale del linguaggio, fondato sul patto che i parlanti stabiliscono tra loro. Ogni elemento prende significato dal ruolo che svolge nell’ambito più generale del sistema linguistico (di qui “La scopa del sistema”). C’è dunque la mano dell'anziana intellettuale nei numerosi indizi filosofici di cui il romanzo è disseminato. La sua scomparsa è probabilmente una trovata necessaria per completare l’azione educativa che ha sempre svolto sulla nipote prediletta, liberandola, per quanto possibile, sia dalla propria ingombrante presenza sia dalla rete che il linguaggio avvolge intorno a lei (come a noi tutti) e permettendole così di uscire dalla sua solitudine, di trovare se stessa e la propria autonomia. A tale fine, ha ingaggiato il dottor Jay, come sembrerebbe rivelare (il condizionale è d'obbligo nella esegesi di questo testo) un breve, misterioso paragrafo del capitolo 14. Non a caso il raggiungimento di questo obiettivo passa per l’abbandono di Rick, che aveva tagliato su di lei un abito fatto di manie, complessi, nevrosi e cercava di ingabbiarla nelle proprie morbose costruzioni linguistiche e letterarie, per ovviare alla propria impotenza. Si può dunque parlare di “romanzo di formazione”, cioè di una storia attraversando la quale il personaggio si modifica e giunge alla sua maturazione.
Ma si può anche notare come il romanzo si risolva in un metaromanzo e che Lenore, manovrata dall’”autore” Rick, tenda a liberarsi dal proprio ruolo di personaggio e dalla prigione in cui vuole tenerla rinchiusa il suo artefice, passando, pirandellianamente, dalla “forma” alla “vita”. Si tratta di ipotesi che hanno tutte agganci con questo o quel punto del racconto, ma di cui non si può essere sicuri. L’unica certezza è che il lettore è chiamato costantemente ad uno sforzo interpretativo e che questo richiede fatica e applicazione. Ma ne vale la pena.
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È un autore spesso percepito come divisivo, e che prima o poi voglio assolutamente approfondire.
Indipendentemente dal giudizio, è impressionante che questo romanzo sia stato scritto da Wallace all'età di 25 anni.
Posso chiederti a quali autori postmoderni ti riferisci nel commento finale?