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Tre camere a Manhattan
Ho appena finito di leggere tre camere a Manhattan di Simenon
Qualcosa in questo titolo non mi ha convinto.
All’inizio non riuscivo a capire che cosa fosse: ho pensato che esperienze personali di vita passata mi avessero condizionata nel giudizio e che quindi non fosse del tutto oggettivo.
Quel continuo seguire, controllare, indagare, quella gelosia patologica quel bisogno incredibile di possesso da parte del protagonista mi avevano creato un disagio pressoché continuo una difficoltà nella lettura che rasentava quasi il dolore fisico, ma poi una volta finito e lasciato decantare ho capito, c’era qualcosa che non mi piaceva di questo libro ed era la superficialità dei sentimenti, quel bisogno incredibile di voler vivere qualcosa che in realtà non esisteva
Allora ho lasciato passare qualche altro giorno e ho continuato a riflettere, ho continuato ad analizzare i personaggi, le situazioni, l’intensità della scrittura di Simenon che raramente ha raggiunto questi livelli, ma non nel senso classico del termine, non come forza nella descrizione e nella caratterizzazione dei personaggi, bensì come forza dell’idea; dell’idea di amore, dell’idea di innamoramento romantico, un amore che può tutto, un amore che cancella il passato che scrive il presente che immagina il futuro, un amore che solo con la forza che gli appartiene può decidere una vita, può decidere di dare una svolta, può decidere di cambiare le persone.
Era questo quello che non mi piaceva e non riuscivo a comprendere, perché così lontano da quella realtà da quella forza che mi solito Simenon mette nei suoi romanzi.
Allora ho capito.
Ho capito che cosa ci voleva dire, ho capito che era proprio questo quello ci voleva trasmettere e l’unico modo per poterlo fare in modo così forte ed efficace era proprio quello di renderlo posticcio.
Un amore nato per caso in un bar, con uno sguardo, con una donna nè bella né brutta, né affascinante né indifferente, una donna normale una donna con i suoi problemi una donna chiaramente vera.
Un uomo, stessa cosa, con i suoi problemi con la sua vissuta o con la sua con vita difficile, un attore, non a caso, e così il romanzo va avanti; va avanti in questa ricerca spasmodica di bisogno da colmare di un amore a cui si vuole fortemente credere a cui si deve credere, per smettere di soffrire e devo dire che alla fine una volta compreso questo, una volta analizzata questa chiave di lettura il romanzo diviene molto interessante: grazie alla caratterizzazione scelta da Simenon, non riusciamo mai a conoscere fino in fondo, non riusciamo mai attraverso un abile gioco di specchi a conoscere la loro reale essenza, sappiamo solo che hanno bisogno l’uno dell’altro sappiamo che solo l’uno nell’altro potranno sopravvivere e così sarà.
Lascia una tristezza infinita, un pezzo di realtà ben impacchettata, ma che lascia intravedere l’abisso di solitudine in cui si può precipitare.
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Molto interessante è stato quindi per me leggere le tue argomentate osservazioni, che mi offrono una nuova chiave per comprendere l'artificiosità e l'aridità emotiva che ho percepito alla lettura.
Grazie,
Manuela