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Silenzio di famiglia.
Vigdis Hjorth nata ad Oslo nel 1959, è una delle scrittrici norvegesi più conosciute ed apprezzate. Ha pubblicato più di trenta libri. Con Eredità ha ottenuto una meritata fama internazionale. Un romanzo che sicuramente colpisce, non soltanto per lo stile, ma per lo stesso contenuto narrato.
La storia inizia con un testamento. O meglio:
“Quattro fratelli. Due case a picco sul Mare del Nord. Un dramma familiare sepolto nel silenzio da decenni.”
Ci sono due case che dovrebbero essere lasciate in dono alle due sorelle, coloro che li hanno accuditi fino alla fine. Invece no, sono date alle due figlie minori, e i maggiori, Bard e Berglijot nulla. Perché? Bard vive male questa profonda ingiustizia e Berglijot, voce narrante, non si stupisce più di tanto. Perché? Perché lei da anni ha troncato ogni rapporto con la famiglia e non vuole saperne più nulla? C’è un segreto doloroso che pesa come un macigno, che è difficile da affrontare, ma che è necessario farlo, forse, per tornare a vivere una vita più serena. Che sarà mai?
Un viaggio analitico nella storia, violenta e piena di soprusi, di una famiglia all’apparenza normale. Ciò che più mi ha colpito è lo stile e l’impianto narrativo del romanzo. Frasi brevi, ma decisi, forti, continue domande e riprese, capitoli a volte di una sola pagina, ma dal contenuto pesante e tragico al tempo stesso. Una lettura non facile, difficile, con tanti riferimenti a Jung e Freud, ma che tuttavia si fa apprezzare per solidità del narrato e fascino intimo ed intimistico dei personaggi. Con loro il lettore soffre e spera. Perché in fondo “tutte le famiglie sono infelici a modo loro”, e spesso il silenzio è un muro di omertà difficile, se non impossibile, da valicare. Un libro che lascia un segno, e che merita veramente di leggere. Un piccolo capolavoro.
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