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Rabbia & party crashing
E se la realtà non fosse altro che una malattia? E’ a questo genere di domanda che tenta di rispondere Chuck Palahniuk con il suo romanzo Rabbia: una storia “orale” (la vicenda è narrata dal punto di vista di vari personaggi/testimoni) al cui centro c’è la figura mitizzata di Buster “Rant” Casey, un ragazzo a dir poco bizzarro cresciuto in provincia, per poi approdare nella grande città e causare coi suoi comportamenti promiscui un’epidemia di rabbia. Tutto questo calato in un mondo distopico in cui la popolazione è divisa fra diurni e notturni, in cui ci si “incanala” esperienze più o meno stupefacenti, e in cui i giovani sono dediti al party crashing, una sorta di autoscontro privo di regole. E se tutto ciò vi sembra estremo, aspettate di arrivare all’ultimo terzo della storia per ricredervi…
Rant (nomignolo che deve a qualcosa di assai poco piacevole) è l’ennesimo personaggio sui generis partorito da Palahniuk, ma gli manca quella follia carismatica che avevano l’impiegato schizoide di Fight Club e il Victor Mancini di Soffocare. E’ una figura un po’ bidimensionale, e certo la narrazione “orale” non aiuta a dargli spessore.
Come al solito all’autore statunitense piace provocare, ma certo la provocazione di per sé non basta per scrivere un buon romanzo: nonostante la scrittura sia di buon livello, alla narrazione manca la ciccia. Leggere alla voce: sostanza. E’ una storia che si lascia leggere senza troppe difficoltà (se vi piace il genere) ma manca di profondità. Insomma, il buon Chuck ha scritto di meglio.