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Il mondo di Jaromil
Curiosità iniziale: nella prefazione Kundera informa il lettore che questo libro si sarebbe dovuto intitolare “L’età lirica” ma che a causa della volontà dell’editore è stato ribattezzato con “La vita è altrove”, citazione presa in prestito da una celebre frase di Rimbaud. L’età lirica perché Kundera ritiene che questa espressione sia riconducibile alla fase della giovinezza degli esseri umani, ed infatti tutto il libro è un inno a questo momento della vita al quale si può anche associare il concetto di “atteggiamento lirico” che rappresenta il presupposto dell’agire in modo poetico. Proprio la poesia è in qualche modo l’essenza del romanzo e pertanto il riferimento a Rimbaud (e ad un suo verso) -più volte citato nel testo con calzanti parallelismi a Jaromil, il giovane poeta protagonista di questa storia- è tutt’altro che peregrino.
Secondo Kundera il poeta è da considerarsi “simbolo di identità nazionale”, “un essere mitologico cui si tributa un culto pressoché religioso”, ma soprattutto il rappresentante di un valore inviolabile: la Poesia per l’appunto! Di conseguenza il protagonista Jaromil è designato come eletto a rappresentare il lirismo poetico, perché fin dall’infanzia considerato un predestinato a scrivere versi, costruendosi così una realtà a lui affine: “l’autonomia della poesia offriva a Jaromil uno splendido rifugio, la sognata possibilità di una seconda vita; la cosa gli piacque tanto che già il giorno dopo cercò di scrivere altri versi e a poco a poco i diede tutto a questa attività”.
Attraverso la poesia Jaromil delinea così i confini del suo “mondo lirico” (“l’uomo sogna di entrare nel mondo, ma poiché al tempo stesso quel mondo gli fa paura, si crea coi propri versi un mondo artificiale, sostitutivo”), una realtà delimitata innanzitutto dallo sconfinato e soffocante amore materno, di una madre che ha rinunciato a vivere per dedicare al figlio anima e corpo spingendosi ai limiti di una gelosia assoluta, atta a condizionarne i rapporti sentimentali con le altre donne (“lotterà, non se lo lascerà portare via, non lascerà che la separino da lui, starà sempre con lui, lo seguirà sempre”). Ma il mondo di Jaromil risulta comunque essere sufficientemente ampio anche per provare quell’amore eternamente cantato dai poeti al quale il protagonista non si sottrae scrivendo versi ispirati (“parlatemi di quella a cui penso senza tregua, parlatemi di come va invecchiando, parlatemi di com’era nell’infanzia, fatemi bere l’acqua delle sue lacrime..”), sebbene si tratti di un amore contaminato da una gelosia esercitata senza remore, quasi come dovesse riscattare quella subita dall’invasività materna. Ed infine il mondo di Jaromil è ulteriormente delimitato dal “paletto della politica”, perché gli anni di ambientazione del romanzo sono principalmente quelli dell’immediato secondo dopoguerra, con la progressiva presa del potere da parte del partito comunista, quando la poesia diventa così uno degli strumenti di propaganda asserviti al Politburo in quanto come sottolinea Kundera, “La rivoluzione non vuole essere studiata e osservata, vuole che ci si fonda con lei; in questo senso è lirica, e il lirismo le è necessario”.
Perché la denuncia politica rappresenta uno dei marchi di fabbrica dell’autore, ed emerge chiaramente anche in questo romanzo nel quale Kundera riesce a sviscerare la stretta connivenza (sconfinante talvolta nel servilismo) tra intellettuali, nello specifico poeti, e regime, tanto che Jaromil, omologato al sistema, non nasconde la felicità “…che il suo talento trovasse una realizzazione pratica. Sapeva che la poesia era morta….ma che era morta per levarsi dalla tomba come arte della propaganda e degli slogan dipinti sugli strisioni e sui muri delle città”.