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Eccoti, fratello, un'anima vivente...
"In quanta stupidità dobbiamo calarci per giungere alla nostra meta, quali sconfinati errori bisogna saper commettere! Se qualcuno te lo dicesse prima, quanti errori dovrai fare, tu diresti no, mi spiace, è impossibile, trovatevi qualcun altro; io sono troppo furbo per fare tutti quei errori. E loro ti direbbero, noi abbiamo fede, non preoccuparti, e tu diresti no, niente da fare, avete bisogno di uno molto più schmuck, molto più cretino, ma loro ripeterebbero che hanno fede in te, che tu ti trasformerai in un cretino colossale, mettendoci un impegno che neanche ti immagini, che farai sbagli di una grandezza che neanche te li sogni... perché è l'unico modo di giungere alla meta."
Più leggo Philip Roth e più divento consapevole della sua grandezza, del perché è così amato tra i lettori. "Il teatro di Sabbath" è per il momento il romanzo che più mi ha scossa e che trovo di una immensa profondità. E' sempre difficile per me parlare di certi libri che ti danno talmente tanto da lasciarti in una specie di stasi. Ovviamente questa reazione è molto soggettiva, c'è chi si approccia a mente lucida e fredda a un libro e c'è chi invece viene coinvolto anche involontariamente a livello empatico. A me Philip Roth mi ha manipolata e mi ha attratto nella sua orbita al pari della studentessa che viene ipnotizzata dal dito medio di Sabbath (chi ha letto il libro capirà cosa intendo). E' un libro osceno, sporco, immorale, grottesco, con i riflettori puntati perennemente sulla natura più animalesca e incivile dell'uomo e se per un attimo di distrazione entrano in scena i sani principi, la bontà o la fiducia, essi sono subito incendiati e ridotti in cenere o al massimo curati col Prozac per una sopravvivenza catatonica. Ma dentro tutto questo squallore pulsa violentemente la vita.
"Sì, sì, sì, provava una incontrollabile tenerezza nei confronti della propria merdosissima vita. E una ridicola brama di averne ancora. Ancora sconfitte! Ancora delusioni! Ancora inganni! Ancora solitudine! Ancora artrite! Ancora missionari. Se Dio vuole, ancora (...). Ancora impegolamenti in qualsiasi cosa. Per la pura sensazione di sentirsi tumultuosamente vivi, non c'è niente di meglio che il lato canagliesco dell'esistenza. Non sarò mai stato un idolo delle platee, ma dite di me quel che volete, la mia è stata una vita veramente umana!"
Lettori e lettrici, mettetevi comodi quando il sipario si alzerà con la prima pagina del libro e per citare l'autore, non giudicate troppo aspramente il vecchio burattinaio Sabbath, burattinato dalla vita, dategli fiducia perché è un personaggio memorabile, e se vi disgusterà a tratti (perché succederà), saprà portarvi anche dentro insospettabili paradisi.
E' un libro con diversi piani di lettura e in cui i temi trattati sono davvero molti ma da buon burattinaio Philip Roth porta a termine in maniera egregia il suo spettacolo, la sua "Fiera del sesso" che è strettamente collegata alla vita e alla morte. Un racconto che parte dal presente e va a scavare man mano nel passato fino alla infanzia di Sabbath, pregno quindi di interazioni, di incastri tra passato e presente, tra causa ed effetto, tra vivere e morire, tra aspettative e realtà. Questo aspetto da quindi una forte impronta introspettiva al romanzo, pieno di considerazioni sulla natura umana sia attraverso monologhi interiori, che dialoghi o interventi diretti dall'autore. Lo stile narrativo è molto ricco e camaleontico e rispecchia la grandissima cultura dello scrittore, infatti i riferimenti letterari e quelli culturali in senso più ampio sono moltissimi e ben inseriti, un mosaico che abbaglia. C'è molta comicità, sarcasmo, teatralità ma anche momenti di una spoglia sincerità, nostalgia, dolore, tanto dolore represso che esplode nel finale e a fine lettura si rimane un po' come Sabbath, perplessi, scampati all'improvviso a questo furore di lettura.
"Re nel regno dei disillusi, imperatore delle aspettative infrante, uomo-dio perennemente umiliato dal metterci una croce sopra, Sabbath doveva ancora imparare che non c'è niente, ma proprio niente, che vada come uno vorrebbe, e la propria stessa ottusità rappresentava in qualche modo un trauma."
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Nella mia libreria ho "Il teatro di Sabbath", "Lamento di Portnoy" e "Pastorale americana".
Devo ancora leggerli.
Ho delle aspettative molto alte, essendo Roth uno degli scrittori più apprezzati nella fortunata generazione di autori statunitensi nati tra gli anni '20, '30 e '40 del secolo scorso (tra cui Salinger, Yates, Bukowski, Vonnegut, Mailer, DeLillo, McCarthy, Pynchon, Auster).
Deludente l'ampia raccolta di "Perché scrivere?" , fin tanto giocata in autodifesa : evidentemente in America le critiche su i suoi libri devo essere state anche durissime.
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