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L'odissea degli esuli
Irene torna a Praga. Dopo vent’anni, passati a Parigi. E dopo la chiusura del cerchio: la caduta del muro di Berlino vent’anni dopo l’invasione russa della Cecoslovacchia.
Non sa se vuole davvero rivederla, Irene, la sua terra; nemmeno sa se quella è più la sua terra. Ma è il momento del “grande ritorno”, le dice la sua amica, come se in questa espressione ci sia per lei qualcosa di dovuto… e non si sa bene se dovuto a se stessa o alla Storia.
Anche Josef torna a Praga. Come parentesi di una vita ormai vissuta e da vivere in Danimarca. Tre o quattro giorni da passare in Boemia, giusto il tempo di rivedere suo fratello, vent’anni dopo che la fuga dalla Boemia e dalla solerzia della Polizia comunista ha reso necessario ricominciare altrove. Anche per Josef, dunque, è tempo del “grande ritorno”.
Se c’è un patrono degli esuli è senza dubbio Ulisse, l’uomo che ha peregrinato vent’anni lungo tutto il mondo allora conosciuto, prima di rivedere le rive della sua Itaca. E non è altro, Ulisse, che l’archetipo di tutte le donne e gli uomini in attesa di ritorno, donne e uomini accomunati dall’ignoranza.
“Ignoranza” – dal verbo spagnolo “anorar”, “enyorar” in catalano – è il sostantivo di chi prova nostalgia, a sua volta parola proveniente dal greco ed indicante la “sofferenza del ritorno”, il rimpianto del paese natio… la “saudade” portoghese, “homesickness” in inglese.
“L’ignoranza” di Kundera è – al pari dell’Odissea omerica abbondantemente citata e ripresa nel libro – un manifesto dedicato agli esuli, senza dimenticare il peso schiacciante che su di essi hanno il tempo che passa e la memoria.
“Non criticheremo mai abbastanza chi deforma il passato, lo riscrive, lo falsifica, chi enfatizza l’importanza di un avvenimento tacendone un altro; sono critiche giuste (non possono non esserlo) ma di scarso rilievo se non le precede una critica più elementare: la critica della memoria umana in quanto tale. Ben misero potere, il suo! Del passato non è in grado di ricordare che una insignificante minuscola particella senza che nessuno sappia perché proprio questa e non un’altra, giacché in ciascuno di noi tale scelta si opera in maniera misteriosa, indipendentemente dalla nostra volontà e dai nostri interessi. Non capiremo nulla della vita umana se continuiamo a eludere la prima di tutte le verità: una realtà così come era quando era non esiste più; restituirla è impossibile.”
Il “grande ritorno” è un concetto astratto, destinato a fare i conti molto più con la realtà del presente che non con quella del passato (come accade ad Irene nell’episodio in cui offre alle vecchie amiche ceche delle bottiglie di vino Bordeaux che ha portato da Parigi, introvabile a Praga). E’ evidente come la vita sia ciò che si è vissuto e non altro, non ciò che poteva essere e non è stato, non ciò che si è immaginato… e nemmeno ciò che si può recuperare, se non lo si recupera davvero.
Attraverso la sua capacità di intersecare la Storia con il mito (le peregrinazioni di Ulisse, le figure di Penelope e della ninfa Calipso, il significato del “grande ritorno” per l’eroe omerico) e con le singole storie personali, Milan Kundera traccia ancora una volta, nell’umanità dei suoi personaggi, la necessità incontrastabile di fare i conti con la realtà: arriva il momento per chiunque, dovunque abbia vissuto, di chiedersi se esista davvero per sé un “altrove”.
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Commenti
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"L'insostenibile leggerezza..." mi è piaciuto, ma ti consiglierei "Il libro del riso e dell'oblio".
Certo, la visione della donna e dell'uomo, e del rapporto uomo-donna, in Kundera è ben delineato in tutta la sua produzione (quantomeno per ciò che ho letto): su questo aspetto non credo troverai grosse variazioni nelle diverse opere.
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