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Il diavolo non è così brutto come lo si dipinge
“Il caldo arrivò insieme al diavolo. Era l’estate del 1984 e il diavolo era stato invitato”. Con questo incipit T. McDaniel inizia questo romanzo che può, per certi versi, considerarsi un’attualizzazione del celebre “Il buio oltre la siepe” di H. Lee. Il diavolo che all’improvviso arriva nella cittadina americana di Breathed assume la fisionomia di un ragazzino tredicenne di colore in salopette, e proprio la combinazione di questi due elementi, il colore della pelle e l’aggravante di dichiararsi diavolo, lo faranno diventare il bersaglio dei pregiudizi e della cattiveria degli abitanti di Breathed. Non è certo una novità, la letteratura e il cinema ci hanno oramai abituati a storie aventi come protagonista Lucifero disceso sulla terra, ma la McDaniel riesce a scrivere un libro nel quale è presente un valore aggiunto: Satana non è né la creatura malefica tipicamente rappresentata e nemmeno quella caotica combina guai che troviamo nel Maestro e Margherita di Bulgakov. Qui il diavolo-Sal (come lui stesso dice di chiamarsi) è una creatura sofferente (“Non sono il principe dell’inferno. Sono solo la sua vittima più antica, la più celebre, uno che soffre come tutti gli altri”). Pentito della ribellione a Dio di cui si è reso protagonista, nella caduta dal Paradiso ha affrontato una discesa verso gli inferi di sette milioni di gradini senza nessuna speranza di redenzione:
“A ogni gradino ti si presenta una mano che sembra offrirti una possibilità. Tu ti volgi indietro e la afferri persuaso che così facendo non verrai più cacciato. Ma nessuna tua supplica, nessuna tua resa è sufficiente a revocare la punizione…..Il supplizio di provare speranza solo per scoprire che non esiste speranza. Sperare significa cedere alla seduzione della leggenda secondo cui ci viene data una seconda possibilità nella vita”.
Fedele alla tradizione che la presenza del diavolo è portatrice di pessimi eventi e grandi disgrazie, l’autrice cede la narrazione di questa storia estremamente dolorosa alla voce di un adulto prossimo ormai alla conclusione della propria vita, Fielding Bliss, uno dei due figli della famiglia Bliss, affidataria del giovane Sal, comparso all’improvviso e scambiato per un bambino fuggito da casa ma del quale non si trovano i veri genitori. Nei ricordi di Fielding sono custoditi gli eventi di quell’estate che sciolse ogni cosa, di “Quel caldo che faceva galoppare il cuore, montare ogni febbre, ribollire quanto non eravamo capaci di lasciare andare”. Attraverso Fielding la McDaniel ci fa conoscere i membri della famiglia Bliss, a partire dal padre Autopsy di professione Avvocato –altro evidente richiamo al Buio oltre la siepe ed alla figura di Atticus Finch- che risulta essere l’autore dell’articolo comparso sul giornale locale nel quale invita il diavolo a presentarsi in città, e via via il fratello maggiore e la madre. La narrazione diventa così l’escamotage adottato per raccontare altro, perché in realtà il diavolo non è così brutto come lo si dipinge e fanno sicuramente più paura la superstizione e l’ignoranza della gente che, magari sobillata da un presunto predicatore, trova nel diverso un “capro espiatorio” al quale attribuire nefandezze ed eventi infausti, accusandolo di colpe prive di ogni fondamento logico: “Lo scopo di orchestrare il panico attraverso un coro di paura. Paura di un ragazzo dalla pelle scura. Paura del diavolo nella pelle di un ragazzo”.
Perché alla fine, la McDaniel evidenzia che le vere tenebre non sono quelle di Lucifero bensì quelle nascoste dentro di noi, nei luoghi comuni e nei pregiudizi ed il diverso non è necessariamente soltanto colui che ha la pelle di un altro colore ma può diventarlo anche l’amico di tutti, il compagno di squadra che magari viene emarginato per la sua omosessualità, Il pregio dell’autrice è appunto quello di fare riflettere il lettore su diversi aspetti insiti nella società e tuttora attuali, ambientando altresì la storia nell’anno 1984, scelta tutt’altro che banale o casuale e che si svelerà chiaramente a coloro che leggeranno il romanzo. Un libro che in definitiva contiene sicuramente riflessioni importanti, che merita credito e tempo da dedicare anche se a tratti si ha la sensazione che alcune parti siano state forse un po’ esagerate nella loro drammaticità, “pianificate a tavolino” per piacere al lettore e suscitare emozioni non sempre spontanee, ammiccando magari anche ad una possibile trasposizione cinematografica.