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Love
 
Love 2020-10-19 12:32:49 68
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68 Opinione inserita da 68    19 Ottobre, 2020
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Microcosmo affettivo

Due vecchi amici, Davy e Joe, oggi sessantenni, un viaggio nei bar di Dublino, alcol in quantità, un flusso ininterrotto di parole su vita, famiglia, problemi coniugali, una misteriosa donna riemersa dopo decenni, il dubbio su realtà e immaginario, una miscellanea di passato e presente che sembra ogni volta interrompersi e rinnovarsi, riaffermando una nuova verità, fino a ora celata, anche a se’ stessi, in parte dimenticata, o completamente inventata, chi lo sa.
C’è un padre ricoverato in attesa di una morte certa che lo sottragga all’atrocità del dolore e della malattia e una resa dei conti per tutto quello che poteva essere e non è stato.
Joe inizia a raccontare, Davy, di fronte a lui, ascolta la sua versione, l’ unica, e a sua volta ricorda un possibile e improbabile amore giovanile, la ragazza del violoncello ( Jessica ), un tempo visione utopica e celestiale, oggi ingombrante presenza riemersa quasi per caso.
Allora i due amici avevano poco più di vent’anni, intorno a loro un nuovo e inaspettato corso della vita, diretti verso un’ età adulta che non sembrava essere niente male, chiusi in una bolla di evasione, per vivere, o provarci, all’altezza della musica che amavano, dei libri che leggevano, cercando donne in grado di intuire, capire, accoglierli, elevarli.
Joe e’ certo di avere amato Jessica da sempre, anni nella menzogna di un matrimonio oggi disintegrato ( con Trish ), per ritornare ogni volta dalla moglie tradita, Davy proviene da una casa silenziosa, la morte della madre ha distrutto la vita del padre, la sua sconvolta e reindirizzata dal sorprendente umorismo della moglie Faye.
Oggi è a Dublino al cospetto di un padre malato, assaporando il piacevole gusto di sentirsi dublinese, avendo deciso di farvi ritorno un paio di volte l’anno anche dopo la sua morte.
Il dialogo prosegue incessante, del resto l’alcol rende tutto più facile e sincero, lentamente riemerge il vecchio accento e quel ragazzo dublinese di quando videro Jessica per la prima volta.
Prende corpo un racconto nel racconto, due amici che si leggono dentro, che poco ascoltano per ascoltarsi e quello che l’uno dice di ricordare non corrisponde a quello che l’altro ricorda, che attingono ai vuoti della memoria altrui inscenando una parte che ne prevede un’altra, più intima e profonda, il senso di un’ esistenza.
È qui che lentamente si scrosta la muffa di una vita intera e ci si domanda, al cospetto della rigenerata confusione altrui, che cosa si intenda per casa. Per Davy casa sono le quattro mura, Faye e i ragazzi, gli anni passati lì, l’ intero percorso a dispetto di un trapassato nebuloso che avrebbe previsto un’ amicizia esclusiva ed escludente, un legame unilaterale che ne avrebbe indirizzato i sentimenti.
E qui, più che su eventi possibili o improbabili, si focalizza il senso di una vita, imbrattata di errori, assenze, ritardi, colpevolezza, ma anche di certezze, stabilità, presente e futuro.
Un romanzo intrigante, più chiavi di lettura che scavano nell’ incertezza dei fatti, lasciandoci un senso di intimità all’apparenza preclusa, un autore che sa muoversi all’interno delle parole e attraverso una fitta rete dialogica ricostruisce una complessa trama di sentimenti, mai banali, nel cuore di una riscoperta e ricostruzione che pare finalmente scardinare il proprio microcosmo affettivo.

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Commenti

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Gianni, la tua bella recensione mi fa prendere atto di non conoscere assolutamente l'autore, benché egli abbia notorietà.
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