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Euridice di Rio
Essere invisibile non è un potere magico, è oppressione, è soppressione, è sparizione coercitiva.
Euridice Gusmao, la moglie modello, accumula sconfitte e, nella sua bella casa borghese di Rio de Janeiro, consuma la poltrona accatastando ore vuote a fissare la libreria.
Guida Gusmao, bellissima, attira gli sguardi maschili ma si ritrova ripudiata dai suoi uomini più importanti. Separatesi da ragazze per colpa dei giochi della vita, le due sorelle si ritroveranno da adulte, perché la casa risuoni una volta ancora delle loro risate carioca.
Ho pensato spesso a Stoner di John Edward Williams, percorrendo queste pagine, in particolare a quel meccanismo che divide nettamente i lettori in chi trova il protagonista un vincente e chi uno sconfitto. Così, immagino, ci sara’ chi riterrà questo libro un manuale della disfatta ode indecente al femminismo annichilito e chi, come me, l’esatto contrario.
Io vedo in Euridice Gusmao un talento sfavillante, anche se offuscato da montagne di fango.
Fiuto una fine intelligenza, anche se zavorrata dai cliché più infimi; io capto la resilienza di chi ha il coraggio di alimentare le proprie doti, anche se affamato dell’accanimento di un destino avverso.
Chi le ha fatto le carte l’ha chiamata perdente, ma io quelle stesse carte le voglio osservare capovolte.
Narrativa leggera, scorrevole ma non banale, Martha Batalha scrive briosa e muove le frasi con un estro particolare, quasi irridendo attraverso la forma – non solo il contenuto- una società maligna, sprezzante ed invidiosa di chi non si allinea all’ordine costituito.
Parla solo il portoghese Euridice Gusmao, sulla via di Ipanema si stringe il turbante verde acqua in testa, nella sacca l’opera completa di Shakespeare e un dizionario Oxford, perché il poeta merita di essere letto in lingua originale.
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