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Lo zampino di Dante
Quando è il “Sommo Poeta” a solleticare un brillante scrittore come W.S. Maugham il risultato non può certo risultare deludente. Maugham infatti nella prefazione all’opera, ci racconta che ha tratto ispirazione per questo libro da un canto del Purgatorio di Dante dedicato a Pia de’ Tolomei, nobildonna sospettata di adulterio e vittima della vendetta del marito. Basta poi aggiungere un’ambientazione esotica durante gli anni ’20 del secolo scorso, tra la colonia inglese di Hong Kong e la Cina rurale, ed ecco che gli ingredienti sono tutti ben mescolati e danno vita a questo gioiellino.
Il Velo dipinto è una discesa agli inferi con successiva redenzione, è un romanzo di formazione che a tratti pare altresì scomodare un altro celebre personaggio della letteratura, Madame Bovary. Diverse sono le similitudini infatti: la protagonista Kitty è una giovane donna frivola e spensierata, piuttosto irrequieta (“Aveva una gaiezza incantevole e il desiderio di piacere”), oltre che poco ben disposta nei confronti di Walter, il marito sposato con troppa celerità, detestato e quindi tradito con un amante (“Oh,come l’aveva annoiata, annoiata, annoiata! Si credeva tanto migliore degli altri, c’era da ridere, non aveva il senso dell’umorismo; lei detestava la sua aria sdegnosa, il suo freddume, la sua compostezza”). Ma a differenza di Emma, Kitty riuscirà però a trovare la sua catarsi. Il viaggio da lei compiuto dall’opulenta Hong Kong, che sembra stimolare la ricerca del piacere fittizio, come lo stesso adulterio, verso l’ammorbata cittadina cinese infestata dall’epidemia di colera, dove Walter deciderà di prestare soccorso (“La gente moriva a cento al giorno e quasi nessuno dei colpiti dal male guariva”) diventa anche un viaggio interiore di maturazione e purificazione. La giovane protagonista -come si trattasse di una novella Pia de’ Tolomei- è costretta a questa migrazione forzata per espiare la propria colpa, obbligata dal marito profondamente irato a causa del tradimento subito, riuscendo tuttavia a riflettere sul senso profondo della vita e sulle reali priorità a cui dedicarsi. Questo anche grazie all’aiuto di personaggi del luogo quali il funzionario di dogana Waddington (“Ho idea che la sola cosa che ci permette di guardare senza disgusto il mondo in cui viviamo sia la bellezza che gli uomini di tanto in tanto creano dal caos”) e le suore del convento locale che sperimentano quotidianamente la loro dedizione verso Dio diventando uno strumento per alleviare le sofferenze umane degli ammalati di colera. Kitty desidera emularle, immergersi nel dolore della malattia per dimenticare i propri affanni dello spirito, alimentati dalla vicinanza ad un marito che non ama ma che sa di avere irrimediabilmente ferito e di un amante che l'ha delusa perchè non ricambia i suoi reali sentimenti. Da questi elementi scaturisce l’essenza del messaggio sibillino di Maugham, l’idea portante di tutto il romanzo, peraltro già presente nel titolo e ripreso anche come citazione. “Il velo dipinto che i viventi chiamano Vita” rappresenta quella visione superficiale, quell’esasperazione così tipicamente umana, quella miopia esistenziale troppo spesso incapace di intuire la vera sostanza delle cose oltre questo velo che invece, una volta scostato, mostra una realtà fatta di dolore, sofferenza e morte.
Ecco che Maugham, attraverso la sua Kitty, ci svela la chiave di interpretazione di questa vita, l’approccio più giusto per superare le difficoltà che si nasconde nella scelta di un percorso libero e consapevole (“Libertà! Questo era il pensiero che le cantava nel cuore, così che il futuro, per quanto incerto era iridescente come la nebbia sul fiume illuminata dal sole mattutino”), e come suggerito dalle parole della Madre Superiora del convento “Non si può trovare pace nellavoro o nel piacere, nel mondo o in convento, ma solo nella propria anima”.
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