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Un libro che ha molto influenzato e scosso Mircea Cartarescu da bambino è stato "Il Conte di Montecristo" di Alexandre Dumas. Faceva ancora fatica a leggere eppure si stava già lanciando a gamba tesa nel meraviglioso mondo della letteratura. Edmond Dantes, personaggio ordinario, viene rinchiuso nella crisalide del Castello d'If, laddove acquista la conoscenza ma anche il potere attraverso la ricchezza, e torna nel mondo completamente cambiato, metafora della metamorfosi completa del bruco in farfalla. La metamorfosi rappresenta il fil rouge anche in "Abbacinante. Ala sinistra", primo volume del trittico "Abbacinante", imponente cattedrale letteraria. Se Dumas ha veicolato il messaggio attraverso un romanzo popolare, per tutti e con le caratteristiche dell'epoca, Cartarescu lo veicola attraverso un raffinato romanzo contemporaneo, quasi illeggibile a detta dell'autore stesso, uscito nel 1996.
Sono pochissimi i libri di questa fattura, richiedono genio, ispirazione, il lavoro e le competenze di un buon scrittore non bastano per la loro creazione. Sono libri che si scrivono quasi da sé, come dice Pessoa in "il libro dell'inquietudine" - non è lo scrittore a scrivere la frase ma è la frase a scrivere lo scrittore. Questo lampo di genio, questo scrittore torturato dalla propria ispirazione, chino sulla sua scrivania che scrive come se fosse in trance io l'ho trovato in questo magnifico libro. Inizia con una narrazione in prima persona, quella di Mircea, uomo adulto, che ricorda con nostalgia i tempi della sua infanzia in un paese delle meraviglie. Ma poi anche la voce narrante subisce metamorfosi e improvvisamente prende voce un altro personaggio, per poi ritornare nuovamente a Mircea. "Descrivere le cose che furono non significa descrivere il passato ma la nebbia che da esso ci separa", una nebbia in cui realtà, sogno e visione si intrecciano e si confondono ma insieme creano una parte inscindibile che rappresenta la vita umana. Quindi va a narrare non solo la sua infanzia in quanto realtà ma anche i suoi sogni e le sue visioni.
L'ambientazione del presente è nettamente dostoevskiana con tinte proustiane: Mircea, scrittore adulto, abita in un monolocale dotato di un piccolo letto, un tavolo, una sedia e una finestra su Bucarest (sembra un Rakolnikov nella sua Pietroburgo), quasi isolato dal mondo, rintanato nel suo alloggio come un "ragno nella sua tana", monopolizzando la sua attenzione sulla stesura di questo romanzo-mondo nel quale cerca di mettere in "disordine" i suoi pensieri, è quasi una costrizione, è messo con la spalle al muro dal ricordo perché "nessuna maschera o guanto chirurgico può proteggere dall'infezione che il ricordo emana", e da qui la sfumatura proustiana. Ma se in Proust il ricordo è dolce, per Cartarescu è amaro, è doloroso, è pregno di necrofilia: nel ricordare rovistiamo come un medico legale negli organi liquefatti dei nostri "io" passati e quindi morti nel tempo, ma il ricordo arriva, incontrollabile, e tu devi accettarlo e servirlo. Attraverso il ricordo, però, al pari di Proust, anche Cartarescu vuole andare laddove nessuno ci è andato, vuole abbattere la barriera spazio-temporale che ci inchioda al presente, e se Proust era riuscito ad assaporare l'eternità rivivendo intensamente momenti passati attraverso il ricordo, Cartarescu alza la posta in gioco e desidera abbattere la barriera spazio-tempo-cervello-sesso, ossia rivivere l'attimo prima della sua stessa creazione, dentro l'utero materno. A questo proposito devo confessare che la parte finale ha dell'incredibile per un lettore, è un mix di immaginazione fantastica, terminologia medica e carica erotica, si crea una tensione che esplode nella penetrazione dell'ovulo da parte dello spermatozoo e il narratore riconosce le proprie sembianze nella piccola cellula scissa in due: due gemelli, lui, Mircea, e il fratello Victor, che morì in tenera età. Il tutto è descritto con ampio utilizzo di metafore e visioni fantastiche. Un altro libro in cui ho assistito alla descrizione di come la vita nasce è "La montagna incantata" di Thomas Mann, lì c'è un capitolo in cui Hans Castorp, che stava studiando biologia e anatomia nel suo soggiorno al sanatorio, ha questo sogno-visione in cui la vita nasce! E' un passo densissimo, difficile, unico ma meraviglioso e lo stesso riesce a creare Cartarescu nell'abbacinante finale, che si chiude con la propria nascita cellulare, che prende forma e spirito -questo settimo chackra, la "sfera di diamante che gli bruciava sopra la testa", come lo Spirito Santo che Gesù soffia sulle teste degli apostoli.
Il mondo che Cartarescu crea è molto difficile da descrivere, è pieno di piccole storie sparse qua e là tra un ricordo personale e altro ma tutto viene poi ripreso e i cerchi si chiudono proprio perché la vita di un essere comprende non solo i ricordi di fatti accaduti ma i sogni ricorrenti, le cose che sogniamo ad occhi aperti, le storie delle altre persone che conosciamo, i libri letti e i quadri ammirati, insomma, tutto ha importanza e si unisce a 360°. Come Musil dice in 'L'uomo senza qualità" che l'utopia è solo una delle tante possibilità, qui Cartarescu dice che l'irreale è solo una possibilità di ciò che potrebbe accadere e quindi una possibilità del reale. Nonostante ciò, nonostante il miscuglio realtà- sogno- immaginazione, l'autore riesce a descrivere un caos ordinato, un labirinto nel quale non abbandona mai il lettore ma lo prende per mano, guidandolo verso la magnifica via d'uscita. "Tutto cospira nel convincerti che non esiste via d'uscita ed effettivamente essa non esiste finché non la cerchi. E in un certo modo la ricerca stessa è la via d'uscita, come se lo spazio percorso con la speranza e la fede si solidificasse dietro di te, prendendo man mano le sembianze di un tunnel attraverso il quale puoi uscire, un tunnel tuo personale, aperto solo per te, come un poro che si apre improvvisamente nella pelle di petalo di Dio".
In questo primo libro della trilogia, Cartarescu sente la sua rivelazione artistica, come Proust senti la sua, sobbalzato nella carrozza sugli Champs-Élysées mentre si recava ad una festa mondana. Nel caso di Cartarescu invece si presenta in sogno, attraverso un inumano urlo abbacinante, giallo, di fuoco, che ricorre spesso nei suoi sogni fino ad assumere proporzioni gigantesche, ma come si fa a comprenderla? ad assimilare questo lampo geniale, bruciante, abbacinante?
"In questo mondo opaco, denso, letale come un cuscino che qualcuno ti preme sul volto per soffocarti mentre ti schiaccia il petto con le ginocchia per impedirti senza alcuna pietà di muoverti, la rivelazione è possibile.(...) Ma quanto puoi afferrare da essa se, scivolando lungo il tunnel, ad una velocità terribile, ti senti gli occhi carbonizzati e le orecchie raggrinzite dal fuoco, la lingua liquefatta e bollente, la pelle come la scorza degli alberi, la mucosa nasale evaporata dal calore?"
Eppure, ci prova a ricomporre la sua rivelazione, con carboni ardenti e cenere perché solo Lui, Lo Scrittore, è capace di "leggere la povera storia della vita umana" e la legge una sola volta, mentre la sta scrivendo.
Per quanto povero è l'ambiente dostoevskiano nel quale l'opera prende forma, il mondo che lui descrive è parimenti ricco, colorato, pieno di luci abbaglianti e ombre tenebrose. Descrive una fantastica Bucarest, che prende vita sotto i suoi occhi, descrive la meraviglia del luoghi di campagna con i loro contadini, gli usi e i costumi, la cucina, i profumi, descrive l'apocalittica guerra tra angeli e demoni che sembra un Giudizio Universale di Giotto, descrive frammenti di guerra e piccoli accenni politici, storie bizzarre e fantastiche e molto altro, eppure tutto è ben incastrato. C'è molto misticismo, farfalle di tutti colori e tutte le dimensioni ma anche ragni, con pance rosse e rotonde che tessono la loro rete con la propria saliva.
Un grande pregio è anche il fatto che, seppur parte di una trilogia, a me la lettura di questo primo volume ha dato il senso di completezza anche nella sua singolarità, un vantaggio per quei lettori che magari non sono pronti ad affrontare una trilogia di corposa dimensione. Se questo primo volume piacerà al lettore, via libra agli altri due, se per qualche ragione dovesse invece trovare difficile o semplicemente non in linea con i propri gusti il lettore si può fermare, avendo comunque letto un libro con un capo e una coda e un messaggio coerente ben trasmesso. Personalmente andrò avanti con il secondo volume "Abbacinante. Il Corpo". E' un'esperienza di lettura unica e indimenticabile.
Piccola nota: le citazioni presenti in questa mia opinione sono tradotte da me e non estratte dalla edizione italiana Voland in quanto l'ho letto in lingua originale.
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