Dettagli Recensione
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Al confine di un bosco fitto di grandi alberi, fiori ed erbe selvatiche, una nonna spiega quel luogo magico alla nipotina, che ascolta rapita il suo giapponese lento e perfetto.
Lontano dalla grande città, la piccola Mai si immerge in un mondo ameno e desueto, dove la biancheria viene lavata a mano in grandi tinozze di acqua bollente. Le fragoline di bosco si trasformano in succulente marmellate e la lavanda un ottimo antiparassitario, tra le mani sapienti dell’anziana.
Una morbida piantina di nontiscordardime cresce illegittima tra le fughe della veranda, la mano minuta che non sa strappare la irrora di acqua; un giorno un cespuglio rigoglioso sara’ la cornice dell’ultimo saluto.
Molto più intrigante la quarta di copertina del libro stesso, che si rivela una delusione nonostante io ami il passo di scrittura giapponese.
Si tratta di un romanzo piuttosto banale che ricorda il mondo di Banana Yoshimoto, sebbene – per quanto possibile – sia ancora più elementare.
La trama si traduce in una storia sciocchina, scritta da mano priva di enfasi e di qualsiasi collante empatico, che nulla ha a che fare con le fiabe giapponesi tradizionali e che riesce ad annoiare anche il lettore più predisposto.
In considerazione delle origini britanniche della nonna, spicca spesso e fuori luogo qualche fastidiosa esclamazione inglese, inflitta come un colpo di scopa alla base del mio cranio, per fortuna senza strega a cavalcioni. A seguire, per concludere in bruttezza, tre raccontini miseri ed improbabili che chiudono degnamente un libro dal buon potenziale e con un’ambientazione adorabile, ma oggettivamente imbarazzante. Peccato.