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Garofani, cannella e cacao
Ilheus, Brasile, anni Venti. Dopo aver stabilito proprietà e gerarchie a colpi di fucile, i fazendeiros coltivatori di cacao godono i frutti derivanti dalle loro piantagioni e il potere politico conseguente dalla ricchezza, crogiolandosi tra fiumi di alcool, piaceri carnali a pagamento e violente prevaricazioni, mascherando poi il tutto dietro un velo di ipocrita perbenismo. Le famiglie Mendonca, das Onças, Bastos, Ribeirinho, fanno il bello ed il cattivo tempo nella ridente città portuale nata dal nulla, con lo sfruttamento di una manodopera agricola che rasenta la schiavitù e con una gestione politica a dir poco discutibile. Finché arriva da Bahia Mundinho Falcão, un uomo nuovo, un esportatore ambizioso che, oltre a curare i suoi interessi economici, sembra seriamente interessato al progresso della zona. Il suo atteggiamento si dimostrerà presto in controtendenza rispetto alle abitudini locali e perciò in contrasto con la storica classe dirigente. Il tutto alla vigilia di nuove elezioni che, per la prima volta dopo tanti anni di esiti scontati perché pilotati, si preannunciano imprevedibili. Con il suo solito stile armonioso, Amado disegna un affresco scanzonato e fortemente satirico di un preciso periodo storico del suo Paese, in una precisa area geografica in cui la vita è scandita dai cicli semestrali della pianta del cacao, fonte di sostentamento per tutti, ma di ricchezza solo per alcuni. Insolitamente l'autore racconta la storia dalla prospettiva dei ricchi, proprietari terrieri, esportatori, eminenti cariche politiche, mettendone però in ridicolo le pompose velleità, le stomachevoli imposture, le ridicole ostentazioni, denunciandone la viltà, la prepotenza, l'arroganza. "Questa terra di Ilhéus, che era diventata la sua terra, aveva ancora molta strada da fare per considerarsi civilizzata. Si parlava tanto di progresso, il danaro scorreva in abbondanza, il cacao faceva costruire strade, villaggi, cambiare volto alla città, ma rimanevano sempre gli antichi costumi, quell’orrore. Nacib non avrebbe avuto coraggio di affermare queste cose ad alta voce, forse solo Mundinho Falcão avrebbe potuto permettersi audacie del genere, ma in quell’ora malinconica del tramonto, sentiva crescere nel cuore una cupa tristezza, e provava come un senso di smarrimento, una stanchezza. Non s’era sposato Nacib, più che altro per la sopravvivenza di quelle leggi: per non essere tradito, non dover ammazzare, non dover spargere il sangue altrui, insaccare cinque pallottole nel petto di una donna." Un contesto laido, brutale, ambiguo in cui comunque trova spazio anche l'amore, vero protagonista del libro come di tutta l'esistenza umana. Ad incarnare il più nobile dei sentimenti troviamo Nacib e Gabriella. Lui è un brasiliano di origini siriane, proprietario di un piccolo bar con il sogno di diventare fazendeiro. Lei è una giovane conturbante, dalla pelle color cannella e dal profumo di garofano, giunta ad Ilheos con un gruppo di migranti e assunta da Nacib come cuoca. L'uomo è uno scapolone inossidabile, incallito frequentatore di postriboli dove placa la sua foga a pagamento. La ragazza è uno spirito libero, iniziata ai piaceri della carne ancora bambina da uno zio depravato, incapace di dire di no ad un uomo ma al tempo stesso di legarsi esclusivamente a qualcuno, un fiore di campo che risalta su tutti gli altri ma che avvizzisce se si tenta di coglierlo e costringerlo in un vaso. La passione appare inevitabile, l'amore sarà una diretta conseguenza. Guai però a cercare di imprigionare un temperamento disinibito e libero come quello di Gabriella.
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ps: Proust, per quanto romantico e dolce e poetico possa sembrare all'inizio nel raccontare i primi ardori, è molto cinico verso l'amore tra due partner, nel quale non ci crede. Crede nell'amore universale.
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