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"Sì, mi piace ricomporre i frammenti"
Titolo e copertina solleticano il lato romantico di chi si ritrova questo libro tra le mani perché, sì, è la storia di un amore profondo e intenso. No, non è solo questo.
È il 1997, il nuovo millennio è alle porte; per Isabel Parkman, che lavora a una tesi complementare, “sarebbe interessante sapere che cosa ne pensano in un paese con molti secoli alle spalle”: l’Egitto. Sì, certo, “anche Roma ha molti secoli alle spalle” ma con l’Egitto “è come risalire ai primordi. Seimila anni di testimonianze storiche”. Omar al Ghamrawi, pianista, direttore d’orchestra e scrittore, “Il maestro Molotov”, “il direttore kalashnikov”, la sta ascoltando e le promette di trovare qualcuno che lì, in Egitto, dove Isabel intende recarsi, potrà aiutarla nelle sue ricerche. È così che in un giorno di primavera del 1997, Amal al Ghamrawi accoglie nella sua casa, al Cairo, “un’americana, una giornalista” ma solo perché glielo ha chiesto suo fratello e intanto si prepara a sentire le solite domande sul ruolo delle donne nell’Islam, sul velo, sui fondamentalisti ma Isabel non fa domande esplicite anzi sembra addirittura timida. Isabel ha con sé qualcosa che, Omar lo sa, interesserà ad Amal e permetterà alla sorella, e a Isabel, di fare una scoperta; è un “vecchio baule antiquato di un cuoio marrone ormai troppo secco e crepato in più punti” che ha viaggiato tanto, lungo tutto un secolo: partito da Londra per il Cairo, è poi tornato indietro, per finire dopo in un appartamento di Manhattan, e infine prendere nuovamente la strada del Cairo.
Ad Amal piace raccontare vecchie storie e quel baule ne custodisce una: un grande diario con la copertina verde, un altro in pelle marrone, ritagli di giornale in arabo e in inglese, due anelli di matrimonio al cui interno c’è una data, 1896, un vestito da neonato, un arazzo con un’immagine faraonica, un quaderno scritto in arabo ruq con “la calligrafia chiara, controllata, della sua nonna”, Layla. Mentre viene meno la sua diffidenza verso Isabel, Amal si dedica a “ricomporre i frammenti” della storia d’amore tra l’inglese Lady Anna, vedova di Edward Winterbourne e bisnonna di Isabel, a cui il baule è un tempo appartenuto, e l’egiziano Sharif Basha al Baroudi, il fratello di Layla, la nonna di Amal.
Un amore, il loro, non privo di ostacoli dovuti non solo alle differenze linguistiche e culturali, alle convenzioni sociali e ai pregiudizi (soprattutto degli amici inglesi di Anna) ma anche alle vicende storico- politiche del loro tempo: quelle dell’Egitto sotto il dominio britannico.
Anna ci ha provato ad aiutare suo marito Edward, dopo il suo ritorno dalla guerra in Sudan; ma si è resa sempre più conto, anche attraverso i tristi e crudi racconti di cui viene man mano a conoscenza, che la malattia che lo ha colpito non è fisica, è una malattia dello spirito. Lei non è riuscita a “trovare la chiave per aprire la porta chiusa della sua mente” e “spazzare via tutti i pensieri terrificanti che vi si nascondono…e riguardano il compito che è stato impegnato a svolgere e che è culminato, all’inizio di questa settimana, con la firma della Convenzione Sudanese. Un evento storico che ha indignato Sir Charles e i suoi amici”. Eppure proprio Sir Charles, il papà di Edward, aveva avvertito il figlio: quella in Sudan “non era una guerra onesta. Era una guerra creata dai politici”. Ma Edward, partecipandovi, credeva di fare la cosa giusta: si è accorto della verità solo quando è stato troppo tardi.
Durante la malattia del marito, “era stata una sorta di decreto soprannaturale” a portare Anna al South Kensington Museum dove era stata rapita dalla “bellezza luminosa” dei quadri di Frederick Lewis (pittore inglese romantico del 1800 noto per i suoi dipinti a temi orientaleggianti con accampamenti nel deserto, interni di harem e moschee). Perciò quando alla morte di Edward, giunge il momento di fare un viaggio “perché la distanza, il tempo e le novità mi restituissero quel sano appetito senza il quale diventiamo insensibili ai meravigliosi doni della vita, pormi come meta l’Egitto mi è parsa la cosa più naturale del mondo”.
In Egitto Anna si riapre lentamente alla vita: sale sulle Piramidi, visita chiese e moschee, impara qualche parola in arabo ma ancora non riesce a cogliere pienamente, in ciò che la circonda, quel significato profondo che aveva avvertito in Inghilterra osservando i quadri di Lewis o sentendo parlare dell’Egitto. Il Sinai: Anna vuole arrivare fino al Sinai ma è consapevole dei rischi che corre, viaggiare per l’Egitto è per una donna più pericoloso che per un uomo. Ne è consapevole ma non desiste… “Ero sincera quando avevo detto a Sharif Basha che avrei incontrato un gruppo di turisti dell’agenzia Cook e che forse mi sarei unita a loro, ma nello stesso tempo respingevo l’idea che mi sarei potuta trovare nel deserto con delle persone troppo simili a me. Intuivo che la loro conversazione, la loro stessa presenza mi avrebbe precluso ogni possibilità di penetrare quella bellezza. E adesso so che sarebbe stato così. Il silenzio diffuso, continuo, la discrezione (o l’indifferenza) dei miei compagni hanno lasciato alla mia anima la libertà di contemplare, di assorbire lo splendore del Sinai.”
Alla storia di Anna che emerge dal passato, si affiancano quelle, nel presente, di Isabel e della malattia della madre Jasmine di cui scoprirà un segreto, di Omar che scorge in Isabel qualcosa di inspiegabilmente familiare dal primo momento che la vede, di Amal, che ha alle spalle un matrimonio finito e i figli, ormai grandi, lontani, e del suo impegno a favore di quella scuola che esiste da circa novant’anni grazie al suo bisnonno prima, a suo nonno e suo padre poi e che ora è stata chiusa perché al governo sostengono che “i maestri, i volontari, sono terroristi che mettono delle idee sbagliate in testa ai bambini”.
Sì, all’inizio può risultare poco facile districarsi tra i vari personaggi ma la storia coinvolge, la narrazione è scorrevole, ricca di passaggi descrittivi e riferimenti storici. Sono palpabili la crescita caratteriale di Anna, la curiosità di Amal e i momenti in cui riesce, anche se a sprazzi, a tirar fuori la sua vivacità e determinazione, la vitalità di Omar, l’autorità che emana Sharif Basha, il senso pratico di Layla, la sua amicizia con Anna. Isabel è forse l’unico personaggio, tra i principali, a cui si fa fatica ad affezionarsi.
A mano a mano che si procede con la lettura ci si rende sempre più conto però che l’Egitto non fa solo da sfondo alle storie narrate. Ahdaf Soueif è una scrittrice di fama internazionale, appartiene a una delle famiglie più politicamente impegnate in Egitto ed è, essa stessa, attivista per i diritti umani; le vite dei protagonisti (principali e non) di questo romanzo, l’impegno politico di Sharif Basha al Baroudi e della sua famiglia prima e di Omar e Amal poi, sono le voci attraverso cui l’autrice ci parla delle tradizioni, della cultura, dei luoghi ricchi di fascino del suo paese ma, soprattutto, ce ne restituisce un pezzo di storia carico della volontà di un popolo di lottare per liberarsi dal dominio, diretto o meno, dello straniero.
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