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Il Regno
 
Il Regno 2020-08-18 09:13:30 Angelo Filipponi
Voto medio 
 
2.5
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
Opinione inserita da Angelo Filipponi    18 Agosto, 2020

Recensione

Che libro ha scritto Emmanuel Carrère?

Un libro di storia?

No.

Le royaume/Il Regno non è un libro di storia perché Carrère, l’autore, è uno sceneggiatore, bravo nel suo mestiere, abile ad attirare il pubblico, a coinvolgerlo con leggerezza (troppa) in un gioco di superficiali ricostruzioni del contesto delle ecclesiai e in un tentativo di dare vita, mediante la quotidianità, alle figure del primo cristianesimo.

L’autore, così operando, può mostrare solo uno spaccato della vita sociale del I secolo d.C.e fare spettacolo,

Carrère è del tutto fuori dalla cultura romano-ellenistica: la sua pagina è aneddoto, è curiosità, pseudo ricerca di notizie che fanno scalpore .

il Regno è opera di uno che si sente ed è “uomo intelligente, ricco e con una posizione“, e “sottende” bello, atletico, praticante arti marziali, non digiuno di yoga e di altre tecniche, alla moda, conscio che a lui è precluso il Regno dei Cieli, ma consapevole che è padrone su questa terra.

La ricerca è un lavoro duro, impossibile da pagare: qualsiasi risultanza, anche se povera cosa, non ha prezzo.

La lettura del messaggio del Christos- neanche esaminato nel suo stretto periodo operativo messianico- è, invece, per il francese un’operazione da farsi secondo l’angolazione di Paolo e di Luca ( di Giovanni e di Matteo, evidenziati solo nell’ultima parte ), sulla cui attività almeno si fa indagine.

Lo scrittore non legge il fenomeno cristiano come è stato tramandato, ma per come lo vuole leggere lui, personalmente: Gesù è un revenant, un risorto che ritorna e Paolo è uno che predica la parousia del Christos trionfante e il giudizio universale.

La cultura di Carrère non ha spessore, perché l’autore è un brillante saggista che vola sui problemi e cerca di piacere e di piacersi e, piacendosi, si fa guida, puerile, nella quotidianità della vita romano-ellenistica delle province dell’impero romano e nel cuore di Roma stessa, in modo libresco.

Carrère vuole dimostrare che secondo Paolo, convinto del ritorno imminente del Signore, sia necessario vivere di conseguenza per i credenti in Christos, ebrei o pagani, indifferentemente, congiunti in amore (agape), dimentichi dei propri beni, uniti in una continua preghiera.

L’autore è confuso, stordito da questa ipotesi, paolina: un ‘intuizione , certo! che deve essere suffragata da ricerche in varie direzioni, esaminata in ogni elemento costitutivo : la serie televisiva dei Revenants sono una cosa; la resurrezione di Christos un’altra!

Carrère, invece, cita autori, a supporto, ma non convince; si pone come exemplum di vita, mostra una sua crisi,(fa sedute psichiatriche) superata grazie all’incontro con Christos , la cui influenza dura solo tre anni, e poi torna ad essere scettico ed agnostico.

L’idea della scrittura di Il Regno stesso dovrebbe essere di un letterato, in otium, depresso : la suddivisione, in Prologo. Parigi 2011 ed Epilogo Roma 90- Parigi 2014, non racchiude, come può apparire , un triennio compreso tra il 2011 e il 2014, ma sottende anche la chiusura della vicenda cristiana evidenziata in 4 capitoli, storici, il cui svolgimento va dal 90 a Roma con notizie su Domiziano .e gli eredi della famiglia di Cristo ( poveri contadini, possessori di un ettaro di terreno, diviso in due)-, poi con altre su Traiano e su Costantino fino al 2014, parigino, anno della pubblicazione del Libro.

Insomma, Carrère sottende una doppia operazione per narrare un suo iter individuale, privato, e per fare contemporaneamente un’altra storia, pubblica e cristiana, collegata in qualche modo a quella personale e familiare, che è specificamente espressa in Una crisi Parigi 1990-1993, mentre gli altri tre capitoli centrali (II Paolo Grecia 50-58; III L’inchiesta Giudea 58-60; IV Luca,Roma 60-90 ) sono centrati sulla diffusione dei Vangeli.

Perciò nella pars centrale di Il regno c’ è una mescolanza di temi, di profano e di sacro, in cui si confondono la vicenda umana dello scrittore e la storia cristiana, come se la vicenda individuale abbia una qualche attinenza con la storia, indefinita del Christos come se ci fosse stato un reale incontro di un vivo con un risorto.

Anche la scelta di campo lascia perplessi: non vuole scrivere da romanziere né da storico, ma vuole essere investigatore (non parla di ricercatore), un investigatore sui generis così da poter compilare ad assemblare testi di varia natura, e da fare qualche svista, imprevista, spettacolare.

Se si legge Il Regno (trad, Italiana di Francesco Bergamasco, Gli Adelphi, 2016 ) si ha qualche dubbio sulla attendibilità storica, e sulla indagine dell’ autore, specie prima del 50 d. C , e sulla conoscenza reale del periodo del principato di Gaio Cesare Germanico Caligola (37-41) e del Regnum/Basileia di Giulio Erode Agrippa I, tetrarca di Iturea, Gaulanitide, Traconitide, Batanea,( ex tetrarchia di Filippo) dal 37 al 39, quando Caligola aggiunge Galilea e Perea , tolte ad Erode Antipa, ed infine re anche di Iudaea – Giudea, Samaria, Idumea -dal 41 ad opera di Giulio Cesare Claudio, (divenuto imperatore grazie al suo aiuto tempestivo).

Infatti, a pagina 300 , Carrère, trattando di Porcio Festo, governatore di Iudaea (61-62),- impelagato nelle questioni religiose dei giudei, a causa di Paolo, un civis romano cristiano- mostra la visita di due principi giudaici, fratelli, Agrippa e Berenice.

Così l’autore scrive su Agrippa: pronipote di Erode, – l’apposizione il re crudele ed amante del lusso è di Renan- Agrippa è un playboy ebreo completamente ellenizzato, romanizzato, come i maragià che al tempo della dominazione britannica studiavano a Cambridge. Da giovane ha fatto la bella vita a Capri con l’imperatore Caligola, Poi è tornato in patria dove si annoia un pò. Berenice è bella, intelligente, vive con suo fratello e si dice che i due vadano a letto insieme.

Resto sorpreso dalle notizie grossolane, vaghe, inesatte.

Poi a pagina 337 si legge questo enunciato complesso: Dal canto suo il playboy Agrippa, il re della dolce vita romana ai tempi di Caligola, fa del suo meglio per convincere i connazionali che una ribellione non porterà niente di buono.

Carrère fa questa affermazione, dopo avere tratteggiato la sorella del re, Berenice, in abiti da penitente- ex moglie di Marco Alessandrino e di Erode di Calcide, che, vedova a venti anni, era diventata moglie di Polemone II di Cilicia- al fine di contestualizzare la guerra giudaica, seguendo alla meglio Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica, 16, 333-404), al suo inizio nel 66, sintetizzando la narrazione dei fatti e il lungo discorso del Re Giulio Erode Agrippa II – che arringa il popolo e lo invita a desistere dall’insurrezione contro i romani, considerata la netta inferiorità militare -.

Sorpreso di nuovo dal playboy , dato ad Agrippa, dal sintagma il re della dolce vita romana ed ancora di più dalla precisazione temporale ai tempi di Caligola, mi pongo due domande (Ho scritto Caligola il Sublime; Giudaismo romano I e II, ho tradotto Legatio ad Gaium di Filone e il XVIII e XIX libro di Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio):

1. Possibile che Carrère non conosca la morte di Erode Giulio Agrippa I, nell’agosto del 44 e non sappia che Caligola, nel periodo di Capri, non era imperatore?

2. Possibile che confonda il figlio col padre (non mi sembra che ci sia un errore di traduzione!) ?.

Agrippa II nel 44 ha 17 anni e l’imperatore non gli riconferma il regno paterno, data l’età; alla morte violenta di Caligola nel 41 ha solo 14 anni, essendo nato nel 27 .

Il playboy potrebbe essere adattato, con molta benevolenza -dato il suo scetticismo e considerata la vicinanza pericolosa con amatori di femmine come Caligola e Claudio – ad Agrippa I, non ad uno, imberbe, non ancora adolescente: Carrère conosce la carriera di viveur di Agrippa II, accusato tra l’altro, di essere amante della sorella dal popolo aramaico, dai farisei e dagli esseni (che ritenevano incesto – colpa degna di lapidazione- la Philadelphia ellenistica), poi divenuta amante di Tito Flavio, che la tenne come concubina per anni, a Roma, con la promessa di sposarla, finché non dovette obbedire alla ragione di stato e fu costretto a cacciarla da corte ( Svetonio, Tito, 7: Berenicem statim ab urbe dimisit, invitus, invitam / cacciò da Roma subito,-preso il potere- malvolentieri, Berenice che se ne andò malvolentieri ).

Carrère si riferisce certamente ad Agrippa II, ma lo ritiene precocemente playboy, in epoca caligoliana, all”età di 10-14.

Al di là della sua lacunosa conoscenza storica col suo modo di scrivere, inglobante notizie, senza valutarle, ha tante strane sviste, esempio pp. 114-15: Filone, a suo dire, morto vecchissimo , 15 anni dopo la fine di Christos (36 d. C. e, quindi, nel 51), grande rabbino, che fa esegesi allegorica.

Filone alessandrino dovrebbe essere nato tra il 30 e 25 a. C. e morto dopo il 41 e prima del 44 (non conosce l’impresa della conquista della Britannia di Giulio Cesare Claudio 43-44 e non parla della morte di Giulio Erode Agrippa I).

Forse ha meriti, specie sul piano letterario secondo schemi artistici e giudizi critici, tipici di un regista e sceneggiatore – non ne ha alcuno nella sua inchiesta sui Vangeli, incapace di diversificare i tempi di scrittura da quelli di semantizzazione-!

Carrère segue sempre qualcuno; ad esempio il sistema classificatorio per la datazione dei Vangeli è quello di Adolf von Harnack, con la successiva teoria delle due fonti e non entra in merito: per lui Marco è il primo evangelista, seguono poi Matteo e Luca; da una parte i sinottici e da un’altra Giovanni e il suo discorso escatologico ed apocalittico, di epoca gnostica.

Carrère come modello letterario ha Le Memorie di Adriano di Margherita Yourcenar – un vero capolavoro, da lui non completamente letto- e ne vorrebbe seguire le orme, specie nella sapienza di ricostruzione storica degli episodi e delle situazioni, della geografia stessa e dell‘ animus del personaggio principale, perfino nel collage, a tempi diversi, dell’intera opera.

Di questa ammirazione, letteraria, molti sono i segni che si possono riassumere nella lunga citazione, da lui fatta, tratta da Taccuini che- gli piacciono molto!- : le regole del gioco imparare tutto, leggere tutto, informarsi di tutto e al tempo stesso applicare al proprio fine gli esercizi di Ignazio di Loyola e il metodo dell’asceta indù che si estenua anni ed anni per mettere a fuoco con maggiore precisione possibile l’immagine che ha creato sotto le palpebre chiuse…

…anche loro, ( vissero la loro quotidianità)…come noi, gioirono, invecchiarono e morirono pp. 263-264.

Carrère, insomma, una volta prefissato il tema, prende dove trova lo spunto per entrare in situazione e poi aggiunge una sua personale lettura come conclusione, critica, come fa, ad esempio, per la valutazione di Paolo di Tarso.

Il francese ha davanti il testo di Mythmaker di Hyam Maccoby (Harper, New York,1986), lo segue pari passo nella lettura dell’opera dell’apostolo delle genti, combaciando con la dissacrazione (Non è fariseo, non è rabbino ecc.), da cui poi diverge nella parte finale, evidenziando il proprio punto di vista.

Il regno è, dunque, un libro che non aggiunge nulla di nuovo e non aiuta nella conoscenza dei Vangeli, anzi confonde e turba la coscienza individuale, nonostante l’onesta ( ma è così!) conclusione con non lo so e con la confessione di aver scritto in buona fede.

La buona fede, specie se cristiana, di solito cela guadagno, come la carità, a breve o a lungo!

Carrère, comunque, non sa se abbia tradito se stesso, giovane credente per un triennio, o se il libro tradisca il Signore, a cui ha creduto, o se gli sia rimasto, a modo suo, fedele.

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Complimenti per la competenza con la quale argomenti la tua opinione. Ho letto con vivo interesse.
Quanti validi motivi per non leggerlo!
Ogni tanto anche Adelphi ha le sue sviste, oh my...
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