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Confusa astrazione
2016, i tragici giorni dell’ insediamento del presidente, l’ innominabile, una nuova era o la fine di quella precedente vista e vissuta nel cuore di una famiglia ristretta, quella di Eva e Bruce, una ricca coppia liberal newyorkese senza figli, lontana dall’aristocrazia della città, che condivide le proprie case, l’ appartamento su Park Avenue e la dimora nella campagna del Connecticut, oltre a tre terrier Badlington.
Una coppia snobisticamente privilegiata, sulla via della discordia, con un’ idea di fuga a giustificare una certa insoddisfazione ( di lei ) nella turbolenta acquisizione di un appartamento a Venezia, o nella triste ammissione della propria insoddisfazione coniugale ( di lui ), rapito da una segretaria in difficoltà e da una relazione extraconiugale.
Per Eva, alquanto irritata, sono i giorni della fine della democrazia, il potere nelle mani di un terribile narcisista o semplicemente del diavolo, un uomo che odia per quello che rappresenta, giorni in cui legge l’ impossibilità di un presente e di un futuro in una nazione culla di un’idea libertaria oggi destituita, con il forte sospetto che la facciata di chi neppure è andato a votare nasconda una profonda crisi personale, relazionale, di coppia, o forse l’altra faccia della propria vulnerabilità.
Lei ama considerarsi un’ animatrice di salotti, circondarsi di cicisbei, organizzare cene, fine settimana ai quali invitare un’ accozzaglia di uomini gay, donne sole di mezza età, coppie sposate che hanno a che fare vagamente con l’arte, editori, agenti, curatori, qualche anziana signora, ma non artisti veri e propri che la spaventano.
Tutto ruota sempre attorno alla sua persona, anche in sua assenza si continua a parlare di lei chiedendosene il motivo e ricercandone le doti nascoste, quanto a Bruce, consulente patrimoniale, pare una persona accomodante a cui basta accodarsi a Eva, sottoporsi alla sua volontà limitandosi a pagare, nessuna traccia di amici, un uomo che invece di litigare esce a passeggio con i cani.
In una trama che cela una incomunicabilità di fatto scorrono porzioni di storie parallele, troncate sul nascere o nascoste, mentre la verità sottende tutt’ altro, sensibilità negate, porzioni di se’, desideri rarefatti o delegittimati, attimi impoveriti di intimità’ nella rappresentazione di una superficie di piccole cose, sovente nauseanti e insignificanti.
Gran parte del romanzo si fonda su lunghi dialoghi inconcludenti, tra il pettegolezzo e la banalità, un microcosmo autoreferenziale di privilegi con l’ impressione che ben poco si abbia da dire.
Si ritorna sui temi dei primi romanzi cari all’ autore, il mondo gay e l’ aids, le relazioni intrafamigliari, il tentativo di una analisi sociopolitica del presente, senza che emerga il vero senso della protagonista, una donna a metà, confusa, una progressista arroccata su privilegi acquisiti, che ricerca una parvenza di libertà limitante, senza una vera occupazione ( scrittrice ? ), a tratti una sognatrice romantica pervasa della propria inconcludenza, semplicemente una donna capricciosa e selettiva di cui tutti parlano e sparlano, rimarcandone la frigida isteria.
Il Leavitt degli esordi aveva un altro spessore, ( ripenso a “ Eguali amori “ ) questo pare ai titoli di coda, e anche il tema dominante, l’ elezione del presidente, non prevede un vero dibattito culturale e politico, limitandosi alla superficie, a battute sarcastiche e caustiche, a uno sterile cicaleccio da salotto, criticando un sistema alla deriva, un mondo editoriale piuttosto controverso, dei colleghi ( scrittori ) pessimi e inconcludenti, ma quale la reale motivazione?
Un romanzo deludente, le poche pagine da segnalare riguardano una certa intimità di sentimenti, veri e credibili, per il resto una sensazione di superficiale e spezzettata confusione stereotipata in cui l’autore, identificatosi con la protagonista, pare confusamente astratto e troppo pervaso di se’, per lo più assente e silente.
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