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Joshua e Christophe
«Chissà se ogni notte della sua vita sarebbe stata come quella, segnata dalla paura di svegliarsi al mattino, dall’infinita monotonia dei giorni che si succedevano l’uno dopo l’altro, con un lavoro che detestava, fino a precipitare senza freno nel gorgo della vecchiaia? Con un sospiro, si era passato una mano sudata sul torace. Non lo sapeva, ma era stanco, e il terrore che gli ispiravano quei nuovi pensieri era pesante e opprimente come il caldo.»
Christophe e Joshua DeLisle sono gemelli, eppure, la loro somiglianza è solo apparente. Cresciuti insieme alla nonna Ma-mee, ormai cieca a causa del diabete, in quel di Bois Sauvage, i due giovani si sono diplomati e sono adesso in cerca di lavoro. Ricevono in dono dalla madre Cille una macchina ma nulla più. Ella li ha lasciati che erano ancora molto piccoli per trasferirsi ad Atlanta dove è riuscita a tirar su la sua piccola attività; il padre, Samuel, detto Sandman, dal suo canto, è entrato in un giro di crack e droghe varie che lo hanno portato a una forte tossicodipendenza e quindi reso incapace a prendersi cura degli affetti.
Le settimane scorrono veloci, i giorni del traguardo scolastico iniziano a scolorire e a sfocarsi come un lontano ricordo. Il lavoro, nonostante le tante domande, sembra non volerne sapere di loro e ogni tentativo non finisce a buon segno. Mentre Joshua è parsimonioso e rivolge uno sguardo al futuro tanto da risparmiare perché consapevole che quel gruzzoletto che ha messo da parte si estinguerà ben presto, Christophe spende e spande tutto quel che ha tanto da ritrovarsi rapidamente senza più denaro. I blunt sono diventati per lui quasi una sigaretta tanta è l’abitudine a fumarne in compagnia del cugino Dunny da tempo nel giro del piccolo spaccio, un mercato coperto da un lavoro onesto di facciata e mai eccessivo perché la polizia è sempre pronta a sgamarti e arrestare. I due fratelli sono decisi nelle loro posizioni, vogliono aiutare Ma-mee in modo corretto, contribuire alle spese, ripagarla delle fatiche, pensare loro a lei, ma la situazione non sembra smuoversi. È quando Joshua viene chiamato per un colloquio e poi assunto mentre Christophe no che le loro strade iniziano a dividersi. Perché quest’ultimo per quanto voglia bene all’altro vive malissimo il non esser stato scelto, il non avere più disponibilità. È irruento, impulsivo, mentre l’altro più riflessivo e meditabondo ma pur sempre imprevedibile nei suoi gesti. Anche per questo Christophe decide di accettare l’offerta e di iniziare a spacciare. Al tutto si somma anche l’insofferenza per quel nuovo amore che vede protagonista il consanguineo e Laila, la bella e giovane vicina e il ritorno in città di una madre troppo a lungo lontana e di un padre che a sua volta decide di riaffacciarsi alla loro porta dopo una vita di assenze.
Terzo e ultimo capitolo della trilogia di Bois Sauvage, “La linea del sangue” – in verità primo scritto e ultimo pubblicato non a caso l’ambientazione temporale è più lontana rispetto ai precedenti episodi – ci riporta nei luoghi che abbiamo conosciuto con Esch e i suoi fratelli e di poi nuovamente con Jojo, ci prende per mano e ci invita a un ritorno non semplice, anzi. Sin dalle prime pagine il titolo si mostra con tutta la sua capacità empatica ma anche con tutto il suo dolore, con tutto quel suo retrogusto amaro e agre, con tutta quella sua forza.
L’opera muove i suoi passi focalizzando l’attenzione su quello che è il passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta, a quella difficoltà che tutti incontriamo nella vita prima o poi e che ci porta a chiederci chi siamo, cosa ci facciamo in questo strano mondo, cosa siamo destinati a fare e a essere. È una storia intrisa di legami familiari tra loro sfilacciati, di perdite, di solitudini, di incomprensioni, di anime che cercano il loro nord anche se spesso per giungervi faticano, non riescono, oscillano tanto a ovest che a sud che a est.
Un po’ come accaduto con Haruf anche con la Ward ogni volume è caratterizzato da uno stile narrativo diverso. Se in “Salvare le ossa” a far da padrone era il carattere evocativo e l’istinto primordiale capitanato dalla natura, se in “Canta spirito canta” a condurre era un incredibile lirismo dai tratti poetici e permeato di spiritualità, ne “La linea del sangue” a dominare indiscusso è uno stile rude, graffiante, aguzzo. Qui non veniamo coinvolti dai luoghi della natura, dai canti, dai boschi, da una maternità espressa per mezzo di una cagnolina che partorisce, qui ci troviamo innanzi a un contesto duro ove i confini sono delineati dal sangue, dalla droga, dal dolore, dal pentimento. In parte la tematica della droga l’abbiamo già precedentemente trovata ma la differenza risiede nel fatto che in questo caso è la materialità che viene presa d’assalto e ferita. Lo spirito che viene ricercato non è immateriale, la ricerca non è solo irrequieta, la volontà è tangibile con mano.
I due protagonisti sono dissimili, finiscono per prendere strade differenti, si trovano in contrasto tra loro, perdono la capacità di ascoltarsi. Sono preda di scelte errate, di caratteri opposti, di casualità che giocano con loro come un gatto con il topo. Procedono a pochi passi di distanza pur trovandosi lontani anni luce, si tendono una mano, la ritraggono e poi la tendono nuovamente. Fino a ricongiungersi e chissà, perdersi ancora.
Non è semplice leggere quest’ultimo/primo viaggio in Mississippi. Per il suo contenuto forte, per questo stile narrativo che lacera, scortica, taglia, per queste vite fatte di ricordi e di storie ancora tutte da raccontare con una voce cruda e tante ombre a offuscare la vista. Un titolo che trattiene e respinge, un titolo che si legge poco alla volta ma che resta.
«Da quando lo aveva perso non si riconosceva più: il dolore per la sua morte era stato un incendio che l’aveva attraversata da capo a piedi, lasciandola annerita e sterile come un tratto di foresta arsa da un fulmine – un paesaggio carbonizzato di pini stecchiti e mozzi, con i tronchi neri e deformi e il verde spento delle chiome che oscillavano appena.»
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