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L'arte di benedire la propria vita
Si può imparare a benedire la propria vita, così come è? Si può, cioè, “dirne bene”, nonostante tutti i fallimenti e gli errori? È questo il tema del romanzo “Benedizione” dello scrittore americano Kent Haruf, scomparso alcuni anni fa.
Libro di grande bellezza e delicatezza, ambientato, come tutti i romanzi di Haruf, in una cittadina immaginaria chiamata Holt, mette in scena diverse storie che si intrecciano le une con le altre, ma che ruotano in qualche modo attorno alla vicenda umana di Dad Lewis, anziano titolare del negozio di ferramenta del paese e ormai prossimo alla fine della sua vita a causa di un tumore che lo sta consumando.
Proprio a partire dalla scoperta della malattia inizierà in Dad una sorta di resa dei conti, in cui si troverà suo malgrado a confrontarsi con i fantasmi della sua vita, con il male commesso, soprattutto con il rapporto con un figlio mai veramente accettato e con il quale le relazioni si sono chiuse ormai da anni, ma anche con le inevitabili domande di chi desidera che ciò che di buono è riuscito a costruire possa continuare a vivere dopo di lui. Nel raccontare l’ultimo tratto di vita di quest’uomo, l’autore non suggerisce facili soluzioni, né costruisce un quadro narrativo in cui alla fine i conti tornano e tutti i pezzi vanno al loro posto. Riesce tuttavia, pagina dopo pagina, ad aprire tanti spiragli attraverso cui la luce può entrare, mostrando che la vita ha un volto buono, nonostante tutto.
Attorno alla vicenda di Dad si muovono altri personaggi, tutti davvero commoventi, a cominciare dal reverendo Lyle, pastore della chiesa locale, uomo che prende il Vangelo talmente sul serio da procurarsi parecchi guai con i più devoti cittadini di Holt.
Haruf mostra con questo romanzo di essere un ottimo scrittore, capace di scavare a fondo nel mistero della vita attraverso il racconto di vicende assolutamente ordinarie. Come tanti bravi autori contemporanei, riesce, attraverso il racconto di storie particolari, a parlare dello smarrimento dell’epoca che stiamo vivendo, ma anche della struggente ricerca di significato che percorre questo nostro mondo ormai orfano delle “grandi narrazioni” e delle visioni del mondo, religiose e laiche, che per secoli hanno in qualche modo garantito un orizzonte di senso alla storia e alle storie. Non a caso i romanzi di Haruf, (come quelli di altri grandi scrittori contemporanei, si pensi a Marilynne Robinson) si svolgono in una piccola cittadina, ben lontana dal clamore delle grandi metropoli, dai centri di potere, dal rumore che riempie le nostre giornate. Quasi a dire che per cercare il senso bisogna imparare a sostare, a rallentare, a guardare veramente in faccia il prossimo che abbiamo accanto tutti i giorni. Ed è forse questo ciò che rimane nell’animo leggendo gli splendidi romanzi di Haruf: l’idea che la verità della vita si gioca nei rapporti umani. È proprio lì che può avvenire l’incontro con l’assoluto, con Dio.
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Conosco Haruf, ma non ho letto questo libro, certamente meritevole. Titolo già in lista.