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Non aprite quella porta
"Voi eravate la luce dei suoi occhi, la sua figlia, - disse la moglie dell'artigiano, - domandatelo a chiunque nel quartiere, vi chiamava proprio così, «la figlia». Di chi credete parlasse fino alla nausea, quella poveretta, quando si sedeva a riposarsi? Di voi. Ma voi vedevate una cosa sola, vedevate soltanto che vi aveva rubato il cane, e non vi siete mai accorta che per lei voi eravate diventata Viola. Accompagnò le nostre vite per circa vent'anni, durante tutto questo tempo ci capitò sovente di trascorrere settimane, mesi, all'estero, lei ogni volta accudì la nostra casa, smistò posta e telefonate, prese in consegna il denaro che arrivava, non tenne mai con sé Viola nemmeno per un'ora, anche se piangeva, per non lasciare la nostra casa incustodita durante la nostra assenza". Magda ed Emerenc sono due donne ungheresi agli antipodi. Scrittrice priva di qualsiasi senso pratico e con la testa perennemente tra le nuvole la prima, popolana ferrea e infaticabile, schietta e pragmatica la seconda. Una appartiene all'elite culturale del Paese, l'altra al proletariato costretto a rimboccarsi le maniche per sbarcare il lunario. Macchina da scrivere, convegni, presentazioni da una parte, scopa di betulla, strofinacci, padelle dall'altra. Magda è un personaggio pubblico, ha una carriera in ascesa, una grande cultura, un marito devoto. Emerenc una forza inesauribile che le permette di svolgere il lavoro di cinque persone, un'intelligenza pratica fuori dal comune, una vita privata avvolta da un alone di mistero. La porta di casa sua è infatti inespugnabile. Nessun essere vivente, neanche quelli a lei più vicini, hanno mai oltrepassato quell'invalicabile confine, visto o saputo cosa nasconde in casa l'anziana signora. Così come nessuno conosce la sua storia personale. Due mondi che hanno una sola maniera di incontrarsi: il lavoro. Magda ha bisogno di qualcuno che badi alle faccende domestiche mentre lei è impegnata nella sua arte. Emerenc ha bisogno di lavorare più possibile per guadagnare i soldi necessari a realizzare il grande progetto di una sontuosa tomba di famiglia. L'accordo è presto fatto. Il rapporto tra le due parti si rivela però difficile. La domestica, impegnata in diversi altri lavori e punto di riferimento per l'intero quartiere, appare e scompare in casa a proprio piacimento, detta legge come fosse la padrona, critica la vita dei suoi nuovi datori di lavoro da cui, freddamente, mantiene le distanze. Solo il tempo e l'arrivo in casa del cane Viola riusciranno a stemperare la rigidità della vulcanica donna ed avvicinarla, prima con un senso di amicizia, poi con amore materno, alla scrittrice. Magda è l'unica a cui Emerenc confida episodi del suo passato, la sola ammessa a varcare la fatidica soglia e a conoscere i misteri custoditi nel piccolo appartamento dell'amica. Giura che mai svelerà l'arcano di cui è stata fatta partecipe. Però, alle volte, ci si trova a dover prendere decisioni importanti che spesso possono essere in contrasto con giuramenti fatti in precedenza. Allora cosa fare quando, giunti al bivio, la scelta è mantenere il segreto o salvare la vita all'amata domestica? Emerenc non è una donna che si accontenta di vivere. Lei vuole la sua vita, quella in cui tutto ciò che custodisce dietro la porta, negandolo agli occhi e alla conoscenza degli altri, è il punto cardine. Se ciò dovesse venir meno, meglio la morte. Questo Magda lo sa bene, ma il tempo stringe e aprire quella porta senza il permesso della proprietaria appare l'unica cosa da fare. Quale sarà la decisione giusta? È corretto intervenire nella vita degli altri, anche se in buona fede, contro la loro volontà? Siamo sicuri che, ciò che per noi appare palesemente, inequivocabilmente un gesto di bontà, di solidarietà, di amore, faccia realmente il bene, l'interesse dell'altro? Il bellissimo racconto di Magda Sazbò parte in sordina, quasi fosse soltanto il resoconto tragicomico di un rapporto subordinato in cui non è chiaro chi sia il superiore e chi il subalterno. Ma più ci si addentra nella lettura più ci si sente coinvolti, maggiore è la conoscenza delle due protagoniste maggiore è il livello di empatia, finché non ci si rende conto di essere stati irreparabilmente catturati dalla storia. A questo punto è impossibile uscire dall'incanto, complici anche una prosa delicatissima, un pizzico di gradevole ironia e una spiccata sensibilità nell'affrontare temi come l'amicizia, l'incomunicabilità, la diversità, l'amore in qualsivoglia forma si manifesti. Ma ciò che forse conta di più in questa toccante vicenda è il peso del passato, è il segno che gli eventi vissuti lasciano nell'animo umano quasi fossero dei marchi indelebili incisi con il fuoco e che, inevitabilmente, vanno a influenzare, nel bene e nel male, gli atteggiamenti, le abitudini, il modo di rapportarsi alle altre persone. È il passato che pesa su Emerenc, le morti, le delusioni, i tradimenti subiti, i sogni infranti. È per non soffrire più che la protagonista ostenta rigidità, durezza di sentimenti. È per non essere ancora vittima, succube, che tenta di imporre a tutti il suo carisma, la sua leadership. È dal rischio che ciò che è avvenuto si ripeta nel presente o nel futuro che lei si difende sbarrando la famosa, simbolica, metaforica, quasi mitologica porta. "Emerenc voleva abbandonare questo mondo dopo che le avevamo distrutto l'intelaiatura che reggeva la sua esistenza e la leggenda aleggiante intorno al suo nome. Era d'esempio per tutti, aiutava tutti, era un modello: dalle tasche del suo grembiule inamidato saltavano fuori caramelline di zucchero avvolte nella carta frusciante e fazzoletti di tela che stormivano come colombi, era la regina della neve, la sicurezza, la prima ciliegia dell'estate, il tonfo delle castagne che cadevano dai rami d'autunno, la zucca alla brace d'inverno, la prima gemma nella siepe d'estate: Emerenc era pura, invulnerabile, lei era ciò che tutti noi, i migliori di noi, avremmo voluto essere. Emerenc, con la fronte perennemente coperta, con il suo viso liscio come la superficie di un lago, non aveva mai chiesto niente a nessuno, bastava sempre a se stessa, si era accollata i pesi degli altri senza mai dire quello che pesava a lei e quando, finalmente, avrebbe potuto dirlo, io ero andata a fare il mio numero in televisione, lasciando che la smascherassero nell'unico momento umiliante della sua vita, lordata dalla malattia. Quali parole sarebbero state all'altezza per spiegare il suo essere, per l'anatomia della misericordia che la spingeva a popolare di animali la casa? Emerenc anarchicamente buona, sconsideratamente generosa, solo di fronte a un'altra orfana aveva svelato di essere orfana, non aveva mai confessato la propria immensa solitudine mentre si avventurava, come l'Olandese Volante al timone della sua nave, su acque sempre ignote, sospinta dal vento di relazioni sempre provvisorie."
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Libro letto e riletto. Anche per me, un romanzo bellissimo.