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Oblomov in America
"Il mio nome è Timofej" disse Pnin (...). Seconda sillaba pronunciata come "uff", accento su ultima sillaba, ej, come in "sei", ma un po' più allungato. Timofej Pavlovic Pnin, che significa Timoteo figlio di Paolo. Il patronimico ha l'accento sulla prima sillaba e sul resto si glissa - Timofej Pahlc."
...ricorda qualcosa? Forse un famoso incipit? LO-LI-TA... Certo che sì, considerato che l'autore è lo stesso, Vladimir Nabokov. "Pnin" è il romanzo che pubblicò dopo "Lolita", a distanza di due anni, nel 1957.
Nabokov è decisamente tra i miei scrittori amati e dei quali ho l'intenzione di leggerne tutta l'opera, mi affascina, è un prestigiatore che ipnotizza e stupisce. Nei suoi libri non c'è mai una parola fuori posto o un dettaglio insignificante. Se viene introdotta nella scena una palla da calcio che Pnin vuole regalare a Victor, quella palla avrà una sua storia e ce la ritroveremo più avanti nella narrazione, è un maestro nel giocare con i dettagli che inserisce, come un giocoliere che ama stupire il suo pubblico. Stessa cosa fa con determinate situazioni: se all'inizio ci viene narrata una situazione che stuzzica la curiosità del lettore per sapere come andrà a finire, ma viene troncata senza svelare la conclusione, essa verrà poi ripresa verso la fine e riepilogato il risvolto.
Pnin è un goffo ma simpaticissimo professore che tiene un corso di lingua russa ad una università americana. Emigrato dalla Russia, la terra madre, in Europa e successivamente in America, Pnin sembra essere in un continuo pellegrinaggio senza mai trovare un posto dove deporre le radici. Cambia spesso la casa in affitto e quando si ha l'impressione di un certo desiderio di stabilità, il destino si dimostra avverso. Carico di elementi biografici, l'autore crea con Pnin un personaggio molto vivido, forte e che vive di vita propria nel romanzo creando anche un mondo pniniano intorno a lui con le sue abitudini, i suoi tic e le sue paranoie. In fin dei conti è tratteggiato con poche linee e ombre ma talmente incisive ed espressive che rimane impresso e prende vita nell'immaginazione del lettore:
"Mirabilmente calvo, abbronzato e rasato con cura, aveva un inizio piuttosto imponente, con la gran cupola brunita del cranio, gli occhiali cerchiati di tartaruga (che mascheravano un'infantile assenza di sopracciglia), il labbro superiore da primate, il collo solido e il torso muscoloso serrato in una giacca di tweed attillata, ma una fine un po' deludente, con due gambette sottili (al momento rivestite di flanella e accavallate) e due piedi dall'apparenza fragile, quasi femminei."
"la voce baritonale, lenta e monotona, che sembrava inerpicarsi su per le scale usate da chi ha paura degli ascensori."
Attraverso Pnin si penetra nel mondo accademico americano, che sarà il background del libro seppur non in maniera tale da sovrastare la sua storia personale, che, attraverso i ricordi, copre episodi della sua intera vita e non si focalizza solo sul presente. Questo sfondo assicurerà però la vena ironica e divertente, attraverso vari aneddoti che controbilanciano il dramma interiore del personaggio.
"Certe persone- e io sono di quelle- odiano il lieto fine. Ci sentiamo truffati. Il fallimento è la norma. Un destino funesto non dovrebbe incepparsi. La valanga che interrompe la sua avanzata a pochi metri dal villaggio rattrappito dalla paura si comporta in modo non soltanto innaturale, ma anche immorale."
Prevale il tema dell'adattamento a un nuovo stato e a una nuova cultura, con tutte le difficoltà del caso, dalla lingua al comportamento delle persone e le usanze locali, ma anche l'impossibilità di una fusione armoniosa per quanto desiderata, si rimane sempre stranieri in una terra non propria. Ovviamente questo è un aspetto biografico di Nabokov che nonostante si sia adattato meravigliosamente alla vita americana, di certo non gli sarà stato facile e il cuore sarà rimasto senz'altro in Russia". Tema molto caro a lui è anche il rovescio della psicanalisi, che non apprezzava molto, infatti li chiama nel libro "psicasinini" - "Non è nient'altro che una specie di microcosmo del comunismo - tutta quella psichiatria", non a caso i suoi personaggi psicanalisti sono anche le persone più squilibrate e superficiali. Tema altrettanto predominante è la letteratura russa, infatti le pagine pullulano di Tolstoj, Turgenev, Puskin, Dostoevskij, Cechov etc. sia attraverso aneddoti biografici sia attraverso aspetti critici verso le loro opere.
Non credo che sia il caso di aggiungere altro sullo stile di scrittura, i piccoli frammenti citati parlano da sé. Rimane armonioso, affascinante e venato di comicità, malinconia e cultura, pieno di metafore esplosive e di dettagli ben calibrati, una ricetta insomma in cui le dosi degli ingredienti sono perfettamente bilanciati. Riserva inoltre minuziosa attenzione ai nomi e alla loro composizione e metamorfosi.
La voce narrante è particolare, parte come narrazione onniscente in terza persona che poi si scopre man mano essere un amico di Pnin e che diventa personaggio nella parte finale del libro. Nei brevi incontri tra i due, però, Pnin sembra negare tale conoscenza- infatti anticipa lo stile di "Fuoco pallido", libro scritto subito dopo "Pnin": non sappiamo se è Pnin a non ricordarsi dell'amico o è l'amico/voce narrante a inventarsi le cose.
Un libro magico in cui Nabokov come al suo solito, incanta, gioca, fa vedere, nasconde, lascia intendere e avvolge nel mistero. I trucchi li sa solo lui, noi godiamoci lo spettacolo!
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Commenti
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Giulio, c'è l'imbarazzo della scelta. Vorrei optare per "Cose trasparenti" che era in realtà la prossima lettura di Nabokov nella mia marcia di letture, prima di imbattermi in Pnin che ha preso la precedenza. Dovrei forse seguire un ordine cronologico o quasi, ma non ci riesco, vado ad istinto.
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