Dettagli Recensione
Una fiaba classica sulla perseveranza umana
Vi propongo una brevissima lettura che sembrerà fuori stagione a quei lettori che spesso si lasciano ispirare dai romanzi che in qualche modo sono in linea col clima, vuoi per la tematica vuoi per l’ambientazione. Ma la vera letteratura, così come i sentimenti e gli ideali più autentici, non segue le mode, è nel suo carattere, è nella sua sostanza.
Seguitemi, dunque, lettori andiamo, è tempo di spostarci in Islanda!
Ci recheremo dapprima in un villaggio da dove il pastore Benedikt, ormai maturo cinquantaquattrenne, sta per iniziare il suo viaggio su per le asperità delle cime innevate alla ricerca delle pecore che si sono allontanate e che rischiano di diventare preda di qualche animale selvatico oppure di soffocare e gelare tra le tormente di neve.
Benedikt compie questa missione ogni anno, da ben ventisette anni, e sempre durante il periodo dell’Avvento, quelle settimane che precedono il Natale. Si prepara con i suoi due fidati animali, intelligenti e sensibili quanto esseri umani, il cane Leó e il montone Roccia, facendo tappa dapprima nella casa di amici che vivono più in prossimità della cima e poi nel rifugio più in alto, lontano dall’umano consorzio. Alcuni abitanti approfittano dalla bontà di Benedikt e lo convincono ad aiutarli a cercare anche i loro cavalli e il proprio bestiame, causando un pericoloso ritardo nella missione di salvataggio delle pecore che ha intenzione di recuperare.
Gli ingredienti per una lettura religiosa ci sono tutti: il buon pastore che cerca la pecorella smarrita, la trinità Benedikt-Leó-Roccia, l’altruismo. Ma sarebbe riduttivo, anche se corretto, considerare il racconto di Gunnarsson come la novella del buon pastore in salsa montana .
Come ci fa giustamente notare il curatore dell’edizione Iperborea, Alessandro Zironi, in una sorta di postfazione italiana (nell’edizione c’è anche quella dello scrittore Stefánsson) , l’autore si è lasciato ispirare dalle fiabe nordiche, dai racconti popolari, in particolare dalla piccola Gerda della fiaba di Andersen La regina delle Nevi, che si affida ad una preghiera per resistere alla tormenta di neve.
Benedikt, con ammirabile tenacia, riesce a prendersi cura di sé e dei suoi due animali, veri e propri compagni di viaggio intelligenti, vince la tormenta di neve, contrastando il ritardo in cui lo hanno costretto la sua bontà e il suo altruismo per cercare anche i cavalli dei suoi vicini. È un uomo che non si perde nei dettagli, ma mira direttamente al nocciolo della cruda realtà.
Un uomo ormai maturo che tra il silenzio della neve, sul filo del rasoio tra la vita e la morte si interroga sulla solitudine, sull’importanza del silenzio, sullo scopo d che ogni anno si prefigge di salvare le pecore che si smarriscono.
Un viaggio tra le montagne islandesi, con le sue terribili e formidabili bufere di neve che avvolgono in una morsa gelida e invitano ad un sonno profondo ed eterno, dimenticati dal resto del mondo. Pastore d’Islanda è una fiaba antica, ma sempre attuale sulla perseveranza e la tenacia dell’uomo che sfida eternamente la natura per salvare la civiltà.
L’opera è stata scritta in tedesco, aveva come titolo Advent, ed è apparsa a Lipsia nel 1936. Gunnarsson è, per la narrativa nordica, uno dei più autorevoli scrittori, amato anche in Danimarca oltre che in Islanda. Lo scrittore era figlio di poveri contadini islandesi che vivevano nei pressi di un ghiacciaio, per gli studi passó gran parte della propria vita in Danimarca dove scrisse tutte le su opere in lingua danese, tradotte poi da altri, oppure da lui stesso in età matura, ormai rimpatriato.
Nelle sue opere, in particolare in Pastore d’Islanda, viene fuori la sua potente verve onirica e realistica, “una combinazione di clima e di luce- lunghi inverni bui e notti così chiare da non concedere riposo” ricorda Stefánsson (p.107) , ci sono pagine capaci di farti sentire il silenzio di una natura quieta e la potenza racchiusa nell’urlo sordo di Münch.
“Ma la tempesta non accennava a diminuire, non aveva la minima considerazione per Benedikt, per i suoi presentimenti e desideri. Sembrava impossibile che avesse tanto fiato da ruggire con tale forza per un giorno intero, in quella stagione dell’anno, eppure era così. La poca luce che i mulinelli di neve trituravano senza sosta diventava sempre più fioca, ridotta a puro nulla, a una tenebra dai vaghi riflessi di luna, tenebra di neve, tenebra vorticosa.
E sempre la stessa furia, un muggire affannoso come di giganti in lotta, scontro di forze invisibili, eterno e sconfinato, una notte urlante e indemoniata”.
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