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Un cerchio che non riesco a chiudere
L’amore che ci disegna Màrquez è un amore prorompente, travolgente, disarmante. La sua lancia trafigge il giovanissimo Florentino Ariza e vi rimarrà incoccata nella sua carne fino al riposo eterno: ma non è la lancia dell’amore passeggero, di più amori cartavelinati, nonostante Florentino sperimenti un numero discreto di legami, ma è la lancia di quell’amore, che ti colpisce quando sei impegnato a studiare le circonferenze degli uccelli nel cielo, a contare i secondi di vita già trastullati nella tristezza, a mangiare lentamente la fetta di noia che un nuovo giorno ti sta servendo sul tavolo della tua esistenza. Florentino si abbevera a questa fontana riverberante, si incensa ogni giorno di questo profumo invadente, sguazza ad occhi spalancati nella granitica convinzione che il suo amore, mai dischiuso e mai fattosi carne, un giorno potrà incendiare con la sua miccia una caterva di legna come mai gli è stato concesso. Dall’altra parte del fiume, dall’altra parte del sole, Fermina Daza lo osserva struggersi per lei, tasta nel buio di fogli madidi d’inchiostro la sua follia, annusa nelle strade assolate la puzza di un uomo che per una sola donna ha fatto a pezzi la sua vita, ha frullato il suo futuro, ha incenerito ogni via di fuga. Fermina guarda Florentino avvizzirsi sotto la cenere della loro vecchiaia e ogni giorno firma sorridente la sua condanna: no, non ha rifiutato Florentino perché suo padre glielo ha impedito; e nemmeno perché ha sposato un altro uomo; lo ha rifiutato perché ogni sua cellula ha scelto, ogni giorno della sua vita, di farlo.
Fino a quando, nell’ultimo tramonto dell’ultima sera, il sole decide di lasciar spazio alla luna un attimo più tardi, per illuminare, per quell’unica e brevissima volta, due figure indistinguibili su una barca. In un attimo che, per un uomo distrutto, durerà per tutta la vita. Perché è per tutta la vita che, quell’uomo, è stato a vegliare, in silenzio, in attesa che accadesse, in attesa che la morte si rivelasse dolce e si prendesse la rivincita su una vita dilaniata, scuoiata da un mostro chiamato Amore.
L’amore ai tempi del Colera è un romanzo scritto da un Marquez che si rivela un egregio maestro nell’arte della scrittura. Finemente ricucito in ogni sua parola, in ogni sua riflessione, racconta una storia lunghissima, costruendo due personaggi perfettamente definiti. Ma il lettore, forse con una punta di delusione, si chiede quando e se mai arriverà ciò che sta aspettando sin dalla prima pagina: non sa esattamente definire cosa, ma sa che è in attesa di qualcosa, che non arriverà mai.
All’intelligenza grigia, il romanzo quadra alla perfezione. Ma è il cuore del lettore che, forse, si preparava a divampare in un milione di battiti ma, invece, rimane con un libro in più sugli scaffali e un’emozione che si pensava, fino alla fine, potesse esplodere. Ma resta lì, assopita, e poi si addormenta. Per sempre.
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