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Non il miglior Murakami
Si dice spesso di Murakami ciò che si diceva per Celine ovvero di essere uno scrittore divisivo: o lo ami o lo detesti. Il mio gusto personale e la mia sensibilità mi collocano in realtà a metà tra questi estremi.
Di Murakami ho letto "Norwegian Wood" ed una raccolta di racconti intitolata "L'elefante scomparso". Di quest'ultima ricordo di aver molto apprezzato i potenti flash su realtà parallele ed estranianti e quel senso di surreale visionarietà che li animava. Il romanzo lungo "Kafka sulla spiaggia" mi è parso invece un po' macchinoso ed artificioso. Ciò che di fresco ed immediato colpiva nei racconti, tende a diventare routine nel romanzo quasi che la necessità di dover intessere una trama, un intreccio plausibile tra episodi per loro natura fantastici, ne abbia irrigidito l'essenza libera e spontanea.
Il meccanismo narrativo si fonda sull'accostamento di tali episodi fantastici con altri che definirei iperreali. Da un lato magia, spiritismo, incantesimi. Dal lato opposto crudo erotismo, scialbe conversazioni quotidiane, macabri dettagli “pulp”. L'alternanza di mondi paralleli e discordanti è un po' il marchio di fabbrica di Murakami e dunque non sorprende riscontrarla anche in questo romanzo. In fondo l'intera cultura Giapponese è ricca di tali mescolanze. Però alcune insistenze finiscono con l’annoiare ed il meccanismo di ping pong tra estremi, seppure inizialmente intrigante, diventa a lungo andare un po’ stucchevole.
Paradossalmente, le stesse fantasticherie non sorprendono più e si avverte un leggero senso di stordimento nel districarsi tra personaggi che parlano ai gatti, altri che i gatti li uccidono per coglierne lo spirito o che vagano in un limbo onirico tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Geniale eccezione resta comunque l'apparizione del colonnello Sanders, quello della celebre catena di vendita del pollo fritto KFC, qui in veste davvero eccentrica: una sorta di manager magnaccia col compito di facilitatore degli interscambi tra i mondi paralleli. Chiunque ricordi l'onnipresente insegna KFC col volto bonario che appare in ogni angolo delle metropoli asiatiche, non potrà che sorridere alla felice intuizione di Murakami.
Nel mondo reale, o come si diceva iperreale, non tutti i personaggi appaiono perfettamente centrati. Il protagonista quindicenne Kafka mostra una profondità di pensiero non compatibile con la sua età ed il rozzo camionista che si innamora di Beethoven pare assai poco credibile. Piu' efficaci e coerenti mi sembrano invece le figure della pragmatica parrucchiera/sorella o del transgender filosofo Oshima.
Qua e là affiora il Murakami intellettuale affascinato dalla cultura occidentale alla quale ammicca con un certo autocompiacimento. Il nome del protagonista ed il mito edipico stesso che è alla base del racconto cosi' come i frequenti riferimenti a certa raffinata musica classica (il trio dell arciduca di Beethoven in primis) ed alla filosofia Greca sono soltanto alcuni esempi tra tanti.
Da segnalare alcuni capitoli di grande suggestione evocativa. Penso in particolare alle descrizioni del bosco soprattutto quelle relative al primo soggiorno di Kafka nella casetta rifugio dell'amico Oshima. Qui lo stile raffinato di Murakami, ritmico e scorrevole, riesce ad esprimersi al meglio e si ha l’impressione di attraversare, quasi fossimo personaggi di un film di Kurosawa, quelle selve oscure che celano forze primigenie ostili o nel migliore dei casi indifferenti alla nostra debole condizione umana.
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A me invece è piaciuto. Le due storie inizialmente parallele progressivamente si avvicinano fino a congiungersi nel finale : tutti i conti tornano. Non so se nella cultura giapponese ci sia un concetto che si avvicini alla Provvidenza. Ma penso proprio di sì.
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