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Il suono delle campane
Chi abbia ancora dubbi sulla maestria di Simenon non ha che da leggere questo romanzo, un viaggio intorno alla camera privata d’ospedale e ai pensieri di René Maugras, direttore responsabile di un importante quotidiano di Parigi, cinquantenne di umili origini ma ormai parte integrante del bel mondo.
Un colpo apoplettico paralizza metà del suo corpo inchiodandolo a un letto, in balìa di medici e infermieri. Situazione drammatica, si direbbe, non per Maugras però, che da quel letto inaspettatamente confortevole osserva la vita degli altri e la sua stessa esistenza da una prospettiva nuova, mentre ciò che prima aveva importanza non lo interessa più.
Lo interessa, piuttosto, rispondere ad alcuni interrogativi che i ritmi frenetici di prima non gli permettevano di ponderare, trovare il bandolo della matassa, il senso di qualcosa, ammesso che un senso qualcosa ce l’abbia (eccolo, forse, il punto).
La mezz’ora che passa da solo, “tendendo l'orecchio al suono delle campane e ai rumori dell'ospedale”, è il momento saliente della giornata, tra flashback e pensieri che si srotolano uno dopo l’altro senza connessione apparente. Ripercorre la sua vita, il rapporto fallimentare con la figlia e con la seconda moglie (“il disagio si manifestava con silenzi, o frasi banali così estranee ai loro rovelli da risultare più penose dell’assenza di parole”), il successo che è riuscito a raggiungere in campo giornalistico pur non possedendo un particolare talento per la scrittura, la sua sostanziale solitudine.
Sembra una sorta di catarsi, una rinuncia a tutto ciò che da necessario è diventato trascurabile, un attaccamento alla vita più teorico che reale, tanto è forte, per un po’, il senso di disincanto.
Il finale, sia pure precipitoso, è spiazzante, prevedibile e, come l’intero romanzo, vagamente beffardo.
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