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HERZOG CONTRO TUTTI
Saul Bellow è un po’ come Italo Svevo: nei suoi romanzi, pur in varie forme e declinazioni, ha sempre dato vita a personaggi che ben si potrebbero definire “inetti a vivere”. E il suo “inetto a vivere” più famoso e riuscito è sicuramente Moses Elkanah Herzog. Apparentemente Herzog è una figura, se non proprio di successo, discretamente inserita nella società: intellettuale, accademico, scrittore, due matrimoni – pur sfortunati – alle spalle, una giovane e sensuale amante che lo vorrebbe portare sull’altare per la terza volta, una famiglia solida alle spalle, un tenore di vita discretamente agiato. Bellow coglie però Herzog in un momento di passaggio, di crisi, quando cioè sta annaspando disperatamente per non sprofondare nel baratro dopo il tempestoso divorzio dalla seconda moglie Madeleine. Herzog è difatti un uomo solo apparentemente granitico, tutto d’un pezzo, affidabile e razionale; in realtà la distruttiva esperienza della separazione lo sgretola e disgrega a poco a poco. Oltre che un uomo di pensiero e di lettere, Herzog è infatti anche un sentimentale, un romantico, un idealista, e Bellow sembra dirci che quando mente e cuore entrano in collisione l’esito è particolarmente infausto: sofferenza, vulnerabilità, dissoluzione morale e persino follia. Bellow segue il suo protagonista passo passo nel suo calvario e, pur usando la terza persona, in sostanza tiene sempre in primissimo piano le sue azioni, i suoi pensieri e le sue lettere. Sì, perché nel suo itinerario di progressiva alienazione dalla realtà Herzog diventa un accanito grafomane, o meglio un “epistolomane”, riempiendo ogni momento della sua esistenza di missive indirizzate a personaggi a lui vicini, ma spesso anche a persone ormai defunte o addirittura a uomini illustri del passato come Spinoza o Nietzsche; lettere che ovviamente non vengono mai spedite, e spesso neanche scritte, perché quando non ha carta e penna sotto mano Herzog immagina semplicemente di scrivere (“Lui sapeva che il suo scribacchiare, la sua epistolomania erano ridicoli. Erano involontari. Le sue eccentricità lo avevano in pugno. C’è qualcuno dentro di me. Sono in suo potere. Quando ne parlo, me lo sento dentro il cervello che batte perché vuole ordine.”). La sua mania diventa nello stesso tempo il tentativo di ristabilire un ordine alla propria vita e il segno più tangibile della sua pazzia: più l’equilibrio psichico vacilla, maggiore è la tentazione di rifugiarsi nella sua corrispondenza immaginaria. La personalità di Herzog è comunque estremamente complessa, e non riducibile solo a quella di un intellettuale un po’ “picchiato”. La sofferenza interiore di Herzog è infatti fonte di un indicibile disagio, ma è altrettanto vero che egli sotto sotto se ne compiace, come se il dolore gli desse qualche privilegio speciale nei confronti del suo prossimo; prossimo che – è vero – in qualche modo disprezza (soprattutto quando lo identifica nell’ipocrita arrivismo e nella volgare vitalità dell’amico Valentin che lo ha sostituito al fianco di Madeleine), ma che è anche inesauribile oggetto dei suoi idealistici e fiduciosi slanci palingenetici. Herzog è una persona infantile, sentimentale, egocentrica, ma pretende anche con tutto se stesso di aspirare al bene: il duro confronto con la realtà (il trauma del divorzio, il tradimento dell’amico, l’episodio al Palazzo di Giustizia in cui assiste per passare il tempo ad alcuni processi contro ladri, pederasti ed assassini, e infine l’incidente automobilistico che egli stesso involontariamente provoca con la figlia a bordo) determina però un vero e proprio crollo delle sue illusioni etiche. La fatiscente casa nelle Berkshires, piena di sporcizia e di escrementi di topi, dove Herzog si rifugia al termine del romanzo, è un po’ il simbolo della sua anima, terremotata e in rovina (non è peraltro l’unico simbolo: basti pensare alla vecchia pistola del padre che si porta goffamente in tasca, la quale rappresenta sia la propria impotenza ed incapacità di agire, sia il peso condizionante dell’eredità paterna). A Herzog comunque l’autore vuole riservare un finale aperto: forse la guarigione dalla sua ossessione per le lettere è foriera di una più generale guarigione psichica e di un ritorno alla normalità. In linea con il tono “leggero” e anti-drammatico del romanzo, Bellow lascia pertanto, se non proprio spalancata, almeno socchiusa la porta della speranza.
Tanti sono i temi affrontati nel romanzo. Ci sono i rapporti familiari problematici e castranti (ad un certo punto emerge tra i ricordi la scenata che il vecchio padre fece a Moses con la pistola in pugno, che rimanda al famoso schiaffo del padre di Zeno Cosini sul letto di morte), l’aspirazione continuamente disattesa ad una vita priva dei vincoli e dei condizionamenti sociali, magari in un impossibile e privatissimo rifugio edenico (la casa nelle Berkshires), le invettive contro la religione (l’ipocrita conversione al cattolicesimo della wasp Madeleine), contro la società materialistica e contro la scienza e la filosofia moderne (ree di fuorviare ed umiliare la naturale condizione umana). Non manca neppure la Chicago e il milieu ebraico da sempre ricorrenti, per motivi anche autobiografici, nell’opera di Bellow. Pur essendo una minuziosa analisi della dissoluzione in atto di una mente e di un’anima, e quindi in apparenza un libro introspettivo e antitetico al picarismo de “Le avventure di Augie March”, “Herzog” in realtà non se ne distacca completamente, perché, grazie ai salti temporali nel passato del protagonista (che ricorda l’infanzia grama e stentata in uno dei più squallidi quartieri di Montreal, con un padre un tempo benestante nella Russia zarista e ora contrabbandiere senza talento), finisce per essere anche il romanzo di una intera vita. La complessità dei piani temporali si riflette anche nella complessità dello stile. Vi sono in “Herzog”, spesso intimamente intrecciati (come sono intrecciate la terza e la prima persona della narrazione), quattro piani di racconto: c’è innanzitutto la realtà esterna (anche se gli avvenimenti memorabili sono pochi, e si condensano principalmente intorno all’episodio dell’incidente automobilistico della seconda parte); ci sono poi le lettere scritte o pensate (e la frequenza delle stesse è direttamente proporzionale all’aggravarsi dei sintomi di malattia mentale del protagonista); ci sono ancora i pensieri che interagiscono e si intrufolano all’interno delle lettere o del racconto; e infine i ricordi relativi a situazioni e personaggi del passato di Herzog. Tutto ciò rende il romanzo estremamente vario e affascinante, spesso persino problematico o provocatorio, denso com’è di spunti e di riflessioni culturali, di simboli e di raffinatezze linguistiche, senza però che per questo venga mai persa quella riconoscibilissima leggerezza tipica di Bellow, che è fatta di ironia e di umorismo ebraico, ma anche di una sottile e spesso struggente malinconia.
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