Dettagli Recensione
La grotta della disperazione
"Commetterò molti errori e imperfezioni. Evidentemente un libro voluminoso ha alcuni vantaggi. In un libro lungo uno scrittore deve dimostrare resistenza, una capacità di inventiva costante, deve avere un respiro largo e molta capacitò di affabulazione e, naturalmente, non è lo stesso concepire una casa o un grattacielo. molte volte è piu’ abitabile una casa, però per costruire un grattacielo devi essere molto bravo, visto che devi fare dei tracciati più complicati…" (Roberto Bolano in una intervista del 2000, relativa alla stesura di "2666")
"2666" è per l'appunto un grattacielo moderno, uno di quei libri-monumento, ai quali ci si approccia con impegno e dedizione ma anche con una certa dose di sacrificio perché seppur belli e intensi la strada del lettore non è sempre spianata e dovrà dare prova di una certa resistenza. E' una maratona e non un 300 metri e questo è bene averlo a mente prima di iniziarlo. Ma quale soddisfazione e ricchezza personale aver completato quei maledetti 40 km... Perché sono proprio maledette le pagine di Bolano, e lo si intuisce anche dal titolo, quelle ultime tre cifre "666" con un "2" davanti. Regna il mistero sul titolo, io però a lettura ultimata mi piace interpretarlo come un doppio inferno, proprio come il doppio orrore che descrive nella seconda parte di questo romanzo arcipelago. Un arcipelago costituito da cinque libri, apparentemente indipendenti ma che sono legati tra loro dagli eventi e da alcuni personaggi e che coprono una vasta area geografica. Dopo un inizio dall'impronta culturale e intellettuale in "Dalla parte di critici" man mano si va a inoltrarsi sempre di più nella selva oscura del romanzo che è costituita dal quarto e quinto libro, rispettivamente "La parte dei delitti" e "La parte di Arcimboldi", i due inferni di cui parlavo prima. Se negli altri libri si accenna a dei femminicidi a Santa Teresa, nel quarto libro invece si assisterà a una vera e propria rassegna di orrendi crimini nei confronti di donne giovani, dopo essere state brutalmente stuprate, l'orrore sta nel fatto che non si tratta di una finzione ma Bolano denuncia una tristissima realtà degli anni novanta: il femminicidio di Ciudad Juárez in Messico. Denuncia delle istituzioni corrotte dalle fasce, dove la polizia nella migliore delle ipotesi è indifferente e sbrigativa, nella peggiore è complice. Viene denunciata e resa colpevole in ogni omicidio narrato: sono poco meno di duecento, il che fa di questo quarto libro uno scoglio non indifferente da superare. Quasi duecento descrizioni di donne ammazzate e brutalmente abusate alle quali Bolano da un nome e una voce e l'attenzione che dalla polizia non hanno ricevuto ma che sono state invece "archiviate" con indagini inesistenti o approssimative o annoiate, annacquate da barzellette misogine e di cattivissimo gusto, da parte di poliziotti che sembrano non avere una madre o una sorella, un lavarsi continuo le mani, come Ponzio Pilato, e coscienze messe apposto per qualche sporadico assassino buttato in carcere, al quale si cerca di propinargli altri casi e liberare quindi le loro scrivanie. Ecco il primo 666.
Il quinto e ultimo libro del romanzo descrive la vita dello scrittore Benno von Arcimboldi, vita che i quattro critici letterari del primo libro cercano disperatamente di ricostruire e quindi in qualche modo si giunge a una sorta di "conclusione" del romanzo anche se si sa che i romanzi di così ampio respiro non hanno una conclusione e probabilmente non mirano nemmeno a quello. In questa parte ho ritrovato il secondo inferno: la seconda guerra mondiale e i crimini di guerra. Ci sono dei passaggi che personalmente ho faticato a leggere, come ad esempio la squadra dei bambini polacchi ubbriachi che i tedeschi ingaggiano per fucilare gli ebrei che loro non hanno più la forza di farlo.
Ma 2666 non è solo un libro sull'orrore, è anche un libro sulla letteratura, sulla formazione di uno scrittore e di un capolavoro letterario, è un libro in cui non c'è prevalentemente un personaggio o dei personaggi di spicco ma Bolano crea una miriade di personaggi e ognuno racconta la propria storia e ha un peso importante. Le storie raccontate sono davvero tante e questo rappresenta l'ossigeno per il lettore nell'andare avanti. Anche lo stile subisce le stesse trasformazioni e non è mai monocorde: ora corre veloce con frasi lunghissime e senza punteggiature, ora rallenta e diventa più descrittivo, altre volte è onirico, nel quarto libro invece spesso è sotto forma di cronaca nera -indagine poliziesca. La prosa si mantiene sempre limpida, forbita al punto giusto e nel momento giusto, con ampio utilizzo di riferimenti letterari tra scrittori, opere letterarie e persino personaggi (per esempio Tadzio) ma anche riferimenti come compositori classici oppure personaggi storici, filosofi e miti. Traspare una vastissima cultura in questo libro che ho trovato molto stimolante e appagante. Ho apprezzato inoltre l'abilità di Bolano a descrivere i vari ambienti geografici con relativi usi e costumi, una camaleonte che ora è messicano, ora americano, ora tedesco, ora rumeno, spagnolo, etc...davvero una penna abilissima che sa fermare e descrivere con l'inchiostro qualsiasi personaggio in qualsiasi luogo.
C'è un mondo racchiuso in questo libro e lo annovero sicuramente tra i grandi capolavori della letteratura che mi è capitato di leggere. Bolano dice in "2666" che la letteratura è una foresta in continua crescita, piena di alberi di ogni tipo, di erbacce, di ciuffi d'erba, ma anche di "grotte della disperazione", di fiori di rara bellezza e di maestosi alberi e nella quale le opere minori sono essenziali perché, "carne da cannone, valorosa fanteria", occultano i capolavori, li nascondono "dato che ripete, in vari modi, lo schema del capolavoro".
"Gesù è il capolavoro. I ladroni sono le opere minori. Perché sono lì? Non per mettere in risalto la crocifissione, come credono certe anime candide, ma per occultarla."
...e ne vale la pena di scendere, in questa "grotta della disperazione".
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