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Poche miglia a sud di Soledad
Il contrasto tra la semplicità della trama, per molti versi prevedibile, e il modo in cui i fatti vengono raccontati, con una prosa asciutta e a tratti poetica (la traduzione di Cesare Pavese avrà forse dato il suo contributo) rende questo breve romanzo degno di essere letto.
E' l'unione di due solitudini, agli antipodi per temperamento e apparenza fisica ma legati da un affetto fraterno.
L'istinto di protezione di George nei confronti di Lennie, grande e grosso, con un ritardo mentale, finisce per apparire insensato di fronte a una società inaridita da una crisi economica che ha infranto i sogni di tutti.
Non quelli di George e Lennie però, emarginati sì, ma fieri di esserlo, mentre si tengono strette le loro ingenue ambizioni:
“Per noi è diverso. Noi abbiamo un avvenire. Noi abbiamo qualcuno a cui parlare, a cui importa qualcosa di noi”.
Un refrain pittoresco, il racconto delle loro fantasticherie, il miraggio di un posto in cui poter finalmente porre fine al vagabondaggio per vivere del “grasso della terra”.
Ma per gente come loro la terra è arida in California, poche miglia a sud di Soledad, almeno quanto il cuore degli uomini. Quanto vale una vita laggiù? Più o meno quanto quella di un topo, se non si riesce a cavarne qualcosa.
Il romanzo parla di amicizia e tradimento, di sentimenti puri calpestati, della necessità di dimostrarsi uomini, forse, ma non più esseri umani.
Struggente, il finale, con rapide successioni di immagini e parole degne della migliore arte cinematografica:
“Dimmi come sarà un giorno”.
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