Dettagli Recensione
Ogni cosa è ridicolizzata
“Anche questo è un buon metodo, diceva ieri, mentre oggi, quindi il giorno dopo, io lo osservavo di lato e dietro di lui vedevo. Irrsigler che aveva sbirciato un attimo dentro la Sala Sebastiano senza badare a me, mentre io dunque continuavo a tener d'occhio Reger, il quale continuava a sua volta a osservare l'Uomo dalla barba bianca di Tintoretto, anche questo è un buon metodo, diceva, quello di ridurre tutto a caricatura. Un grande quadro, diceva, un quadro importante, lo sopportiamo soltanto dopo averlo ridotto a caricatura, e un grand'uomo, nonché una cosiddetta personalità importante, non li sopportiamo, l'uno in quanto grand'uomo, l'altro in quanto personalità importante, diceva, e non possiamo fare a meno di ridurli a caricature”.
L’ impressione che ho avuto nel leggere per la prima volta Bernhard è stato un misto di perplessità e di fastidio: non riuscivo a capire lo stile, il suo particolare modo di scrivere, contraddistinto da una parola o da un concetto che non è mai da solo, ma sempre accompagnato dal suo doppio o dal suo opposto e una ripetizione ossessiva e straniante di parole o intere frasi.
Non è semplice da leggere a cuor leggero. E non è semplice neppure, per carità, accettare che vengano smontati e, talvolta, ridicolizzati i grandi maestri della pittura e della musica di tutti i tempi.
E’ solo il primo approccio, basta farci l’abitudine e si riesce ad apprezzare tutto il libro e anche l’autore che conserva, nonostante il verbum tagliente, un certo humor, forse un po' rarefatto, ma che mostra tuttavia una certa efficacia ai fini della piacevolezza di lettura.
Un autore misantropo, pessimista, aspro, che odiava tal punto l’Austria e gli Austriaci fino alla morte, che non ha voluto mai che le sue opere venissero pubblicate in quella nazione.
Il libro è una sorta di lungo monologo, in cui, come in una scatola cinese, noi conosciamo i pensieri di un personaggio attraverso le parole di un altro personaggio, nello specifico è Atzbacher che parla, ma attraverso di lui parla Reger, indimenticabile burbero chiacchierone ottantaduenne, che confessa:
“Sapere meno di quel che so a questo proposito sarebbe comunque stato
meglio, ma con l'età vengono appunto alla luce molte cose non richieste”.
Questo modo di esperimersi a cerchi concentrici, Atzbacher-Reger-autore stesso, è davvero originale. La figura che azzarderei a definire più neutrale è la prima, Reger è l’alter ego di Bernhard, un personaggio solitario e senza speranza, che dopo la morte della moglie fatica a trovare un motivo per andare avanti. La confortante abitudine, coltivata per trent’anni, di andare un giorno sì ed uno no nella sala Bordone del Kunsthistorisches Museum a meditare davanti al quadro di Tintoretto “L’uomo con la barba bianca” torna dopo mesi di totale sconforto.
Bernhard aveva detto di scrivere per avversione, per unire il piacere al fastidio.
“Il cervello ha bisogno di contrasti” aveva scritto in “Tre giorni”, (Aut-Aut, 2005): questo gioco dei contrasti, degli ossimori talvolta, ripercorre tutto il libro fino ad un finale paradossale. Dopo aver ridicolizzato grandi capisaldi della musica come Beethoven “il depresso cronico”, quel “ciccione puzzolente di Bach seduto all’organo di San Tommaso” , pittori come Dürer, i cui quadri valgono meno delle cornici, Tiziano, lo stesso Tintoretto e tanti altri, tutti senza essere risparmiati da affondi al vetriolo, considerati asserviti allo Stato e alla Chiesa, Reger-Bernhard ammette poi, paradossalmente:
“ è dagli Antichi Maestri che io devo andare per poter continuare a esistere, proprio da quei cosiddetti Antichi Maestri che a dire il vero detesto da tempo, da decenni, infatti non c’è niente che io detesti di più di questi cosiddetti Antichi Maestri del Kunsthistorisches Museum (…)”.
Le invettive con l’Austria e gli Austriaci si sprecano in questo libro: non si salva nessuno, nessuna categoria sociale, letterati, artisti, governanti, finanche gli insegnanti e ...i gabinetti. I critici d’arte fanno passare il gusto per l’arte, gli insegnanti che accompagnano le scolaresche al Museo distruggono le menti dei ragazzi, privandoli di ogni inventiva, creatività e slancio artistico innato. Queste categorie sociali sono in qualche modo asservite allo Stato che toglie umanità all’uomo. Non a caso dichiara che, insieme a pochi altri quali Pascal e Montaigne, Voltaire è “il mio amatissimo”, l’autore anticlericale per eccellenza, uno dei principali ispiratori del pensiero laico moderno.
Come per l’arte, odiata/amata, anche nei confronti degli esseri umani l’atteggiamento è ossimorico: mentre pochi minuti prima Reger-Bernhard aveva parlato di ottusità umana, di disgusto verso gli esseri umani, dopo confessa di esserne profondamente attratto, irreversibilmente:
“Mi sono sempre dedicato esclusivamente agli esseri umani, di per sé, infatti, la natura non mi ha mai interessato, tutto in me è sempre stato in relazione con gli esseri umani, io sono, per così dire, un fanatico degli esseri umani, diceva, non un fanatico dell'umanità, com'è naturale, ma un fanatico degli esseri umani”.
Come si vede dalle citazioni, la lingua di questo autore è ricercata e segnata dalla ripetizione ossessiva e, per dirla con Emilio Garroni (Laterza , 2003) in Bernhard “ la ricorrenza non è solo ripetizione materiale (…) è piuttosto capacità di far risaltare in un'interpretazione un’ossessione letteraria”.
Devo la scoperta di questo interessante autore a Ioana e al gruppo di lettura per i Qfriends più attivi, a tal proposito rimando alle loro recensioni che precedono la mia.
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Commenti
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Continuo a tenerlo in lista, dunque.
! Sì ho avuto modo di riflettere e cercare informazioni su Bernhard per poter capire delle tematiche, come Ioana aveva giustamente detto.
Aspettiamo ancora Dany non abbiamo finito mi pare...
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