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Brontolo ergo sum
Kunsthistorisches Museum, un uomo è in anticipo di un’ora su un appuntamento datogli da un altro uomo, il suo a dir poco zelante tempismo è studiato perché gli serve per osservare o meglio spiare l’uomo che gli ha dato l’appuntamento, dalla Sala Sebastiano verso la Sala Bordone, indisturbato e da un’angolazione che definisce ideale. Reger può essere finalmente fatto oggetto di studio da Atzbacher, con la complicità del sorvegliante Irrsigler che è appunto colui, lo verremo a sapere più avanti , che rende possibile anche la visuale esclusiva di Reger, in posizione privilegiata di fronte al quadro di Tintoretto, l’Uomo dalla barba bianca, seduto su una panca rivestita di velluto, pura licenza poetica del nostro autore rispetto al luogo reale di cui si parla. Reger a sua volta osserva un uomo che guarda, di sbieco, da una posizione non frontale, un vecchio dallo sguardo teso e indagatore, sospeso nell’attimo della ricerca. Di che cosa non so, della verità , forse. Questo interessante gioco di specchi e di rimandi , del tutto borgesiano, è poi impreziosito e amplificato dalla originale gestione della voce narrante che in terza persona (“ scrive Atzbacher”)riporta le impressioni del secondo narratore in prima persona, per cui per tutto il tempo leggiamo un lungo e ininterrotto monologo che a sua volta introduce il terzo narratore, ovvero lo stesso Reger. Insomma siamo di fronte a uno spazio fisso che si potrebbe paragonare al palco di un teatro dove in scena ci sono degli attori che sono al tempo stesso degli spettatori, in un perfetto triangolo che tramite Reger si prolunga verso un’altra dimensione che è quella del quadro che, a sua volta, rimanda ad altro spazio. Spazio infine che è attraversato da molteplici voci e amplificato ancora da inserzioni narrative che fluttuano nella dimensione del ricordo. In un’ora Il narratore primario permette a quello secondario che ci intrattiene di dare a sua volta la parola al terzo narratore che, in sostanza, è il protagonista primario. Un brontolone, un misantropo, un dissacratore che man mano svelerà la sua teoria del tutto, a partire dalle osservazioni sullo spazio museale e sulla sua funzionalità per allargarle a raggiera sui suoi avventori, bulimici e ignari, sui critici d’arte, sul sistema stato, sull’intera nazione, sull’Austria, cattiva maestra, sui maestri e sugli antichi maestri per andare a sventrare il significato stesso dell’arte, in tutte le sue espressioni, non solo pittoriche. Alla base l’assunto che nega la perfezione per giungere poi alla constatazione che l’arte è per noi semplicemente il bastone su cui ci appoggiamo, o l’elemento su cui proiettiamo, da fruitori, ma probabilmente anche, per chi riesce, da creatori, la nostra finitezza, la nostra imperfezione, la nostra insulsaggine che probabilmente è solo da accettare riuscendo a riderci un po’ su. Insomma, non prendiamoci sul serio, scendiamo dal piedistallo, riconosciamoci tutti un po’ Reger: adorabili brontoloni e , se vi va, ascoltiamo le nostre tirate reciproche accettando anche l’improbabile nel comportamento altrui.
Gradevole caleidoscopio che può stordire come un giro di giostra ma che lascia l’euforia dell’osare
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