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Chiedi alla polvere
 
Chiedi alla polvere 2020-03-23 17:08:41 Mian88
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    23 Marzo, 2020
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Polvere, tu che sai.

«I giorni grami, i cieli azzurri senza mai una nuvola, un mare di azzurro giorno dopo giorno, e il sole che lo solca. I giorni dell’abbondanza… abbondanza di preoccupazioni, abbondanza di arance.»

Arturo Bandini è un’anima triplice. È colui che, ventenne, sogna di diventare scrittore grazie a quel famoso racconto pubblicato su una rivista, è colui che di origini italiane è cresciuto nel dogma della fede cattolica, un credo che lo imbriglia ancora seppur la sua vita sia dissoluta e scapestrata, è colui che ama, colui che ama la sua Camilla che però ama un altro, Sammy. È un’anima triplice che viene ricostruita con perfetta armonia geometrica da Fante che offre uno sviluppo orchestrato con grande linearità e con un finale per ogni dimensione di questo eclettico uomo. Perché se la storia dello scrittore finisce bene, non trova conclusione la dimensione della fede che al contrario non finisce e resta bloccata su se stessa e trova un funesto epilogo la vicenda amorosa. Il libro pertanto cresce, cresce e travolge con durezza e con forza, cresce e travolge con un personaggio che nella sua vita vince e pareggia, che perde simultaneamente e poi riparte, che erra e poi si corregge talvolta perfino grazie a quella religione che è una costante vissuta come una incostante ma che tuttavia persiste e conduce.
È un elaborato doloroso e addolorato, “Chiedi alla polvere”. Un componimento che è l’esercizio compiuto per ricostruire il passaggio da vita a racconto, da verità a finzione. È emblema della ricerca di Fante, una ricerca portata avanti per tutto il suo vissuto e che si esprime nella parola scritta all’interno della quale l’esistenza si disciplina nel racconto perché scrivere è un modo per mettere ordine, per scandire i tempi, per ricreare la forma geometrica, per coniare sequenze. La cura che vi è dietro la pagina è maniacale, il reale è sgrossato dei suoi confini tangibili e concreti ed è riportato e plasmato nella sua solidità, nella sua coerenza, nell’irrealtà affinché il lettore possa impugnare e passarsi di mano la sagoma modellata. Tuttavia “Chiedi alla polvere” è anche altro.

«Cosa potevo offrirle di diverso da quel mondo brutale che l’aveva già stroncata una volta? Ripresi il cammino in senso inverso, triste, nella triste luce dell’alba. Lei apparteneva alle colline, ora, e le colline l’avrebbero nascosta. Dovevo lasciarla tornare alla loro solitudine, lasciarla vivere con i sassi e con il cielo, lasciare che il vento giocasse con i suoi capelli fino alla fine. Era questa la sua strada.»

E allora chiediamolo alla polvere. A quella polvere che risiede nelle strade dell’Est e del Middle West, a quella polvere da cui non cresce nulla, a quella polvere che offusca una cultura che non ha radici, una cultura che è frenetica ricerca di un riparo, che ricopre le spalle di queste anime che fanno capolino, in queste anime perse e senza speranza, in queste anime che sono in continua ricerca di una pace che mai potrà essere raggiunta, in quell’inganno di una società che apparentemente accoglie quando in verità esclude. Perché alla fine tutti cerchiamo comunione, cerchiamo condivisione, cerchiamo collettività, cerchiamo solidarietà, cerchiamo accettazione. Ma spesso, questa volontà spasmodica di voler far parte di qualcosa, di essere parte di qualcuno, non è altro che un affanno che porta all’autodistruzione, alla perdizione. E allora, chiediamolo alla polvere. Lei che custodisce i segreti, lei che tutto conosce, lei che protegge ed è memoria. E chissà, forse un giorno ci risponderà…

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