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"La povertà è la mia malattia"
“E non disse nemmeno una parola”, uscito a puntate nel 1953, è il quinto romanzo di Heinrich Böll, considerato uno dei più illustri esponenti della letteratura tedesca del secondo dopoguerra nonché vincitore del Premio Nobel nel 1972.
La critica letteraria è unanime nel considerare questo romanzo come il più maturo di Böll fino a quel momento, e uno dei testi di maggiore qualità artistica nella carriera dello scrittore insieme ad opere come “Opinioni di un clown” del 1963 e “Foto di gruppo con signora” del 1971.
La storia è ambientata in una desolata e non nominata città tedesca nel dopoguerra. Probabilmente si tratta di Colonia, dove l’autore è nato e dove fa ritorno al termine del secondo conflitto mondiale, trovandola distrutta.
Fred, telefonista presso un ufficio vescovile, ha lasciato il monolocale dove abitano la moglie Kate e i figli, perché non sopporta più l’atmosfera di asfissiante povertà. Non è più lo stesso uomo che era prima della guerra, durante la quale ha svolto il ruolo di centralinista in una caserma. Ma la guerra è davvero finita?
“Ho ingurgitato tanta noia da vomitarne per anni di fila”.
Le bollette da pagare, la mancanza di soldi. Le facce serie dei bambini, talmente tristi che non sanno più neanche fare rumore quando giocano. Gli odori, la sporcizia, la ristrettezza dell’alloggio.
“La povertà è diventata la mia malattia”.
Fred non sopporta più tale miseria e se ne è andato da due mesi, dormendo in casa di conoscenti, nelle stazioni o in ricoveri di fortuna.
Ma Fred e Kate si amano ancora. E il romanzo, scritto in prima persona, descrive appunto il fine settimana che si svolge intorno ad un incontro dei due coniugi in un modesto albergo, alternando il punto di vista di entrambi i protagonisti.
Il romanzo può avere diverse chiavi di lettura.
A livello propriamente terreno, c’è una sottile suspence sessuale. “Era stato tremendo, per me, non poterlo dire, non poterlo confidare a nessuno, ma la verità è che quei soldi, quella stanza mi servivano soltanto per andare a letto con mia moglie”.
Ma allo stesso tempo, la storia d’amore tra Fred e Kate è profonda e pura. È un rapporto che idealmente ha solide fondamenta, che si fonda su un sincero innamoramento. Ma che nel concreto trova difficoltà a proseguire, simbolo di un’epoca priva di certezze materiali.
C’è poi la Storia. Con una nazione, la Germania, sconfitta e distrutta. Avvolta in una sorta di lutto nazionale. Ma con barlumi simbolici di ripresa economica e di primi accenni al consumismo (i bar, il luna park colorato, le insegne pubblicitarie sgargianti, le vetrine dei negozi di vestiti, i suoni dei mezzi pubblici) che mostrano l’ottimismo e la speranza dello scrittore riposti in un’imminente ripartenza.
Altro tema fondamentale è la religione, un chiodo fisso dell’autore. Emblematica la morbosa passione di Fred per i cimiteri, dove si reca spesso indugiando tra le aiuole e le tombe, convinto del fatto che quel luogo sia testimone dell’unica certezza di cui non dubitare: ovvero del fatto che anch’egli morirà.
La religione per Böll ha una duplice valenza.
In primo luogo, è usata a scopo di satira. Ad esempio verso alcuni parroci, osservati da Fred durante una processione.
“Erano assai grassi e sembravano scoppiare di salute. Quasi tutti quelli che stavano sui marciapiedi, invece, erano malridotti, con un’aria esausta e un tantino smarrita”.
Oppure nei confronti della vicina di casa e proprietaria del monolocale. Una signora teoricamente cattolica, presidente delle organizzazioni parrocchiali. Ma in realtà pettegola, falsamente benpensante, approfittatrice, fintamente caritatevole.
“Discende da un’antica famiglia di commercianti. Ho l’impressione che facciano commercio del più prezioso di tutti i beni: Dio stesso”.
In secondo luogo invece, la religione assume una veste evangelica, intima. Di continua ricerca, di profonda speranza. È la religione di Fred e soprattutto di Kate, che come Cristo sopporta tante umiliazioni senza dire neppure una parola.
Con questa struggente opera, ho conosciuto un Heinrich Böll commovente, doloroso, realistico, amaro, seppur venato da tocchi surreali e satirici. Il tutto condensato da un linguaggio raffinato, non privo di tocchi lirici, degno di un Premio Nobel.
E con personaggi tristi ma potenti. Vinti, dalla fame e dalla Storia. Ma non perdenti.
Non mancherò di leggere altri romanzi di questo grande autore.
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Un grande autore, di cui da troppo tempo rimandavo la lettura.
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