Dettagli Recensione
C'è la cuoca nera qui? Sì-sì-sì
L’ascesa del nazismo e la sua caduta; la guerra e le sue amare conseguenze; la storia familiare che si intreccia e soccombe di fronte alla Storia. Ma anche la feroce critica alla società borghese della Germania pre nazista, passiva spettatrice dell’avanzata della dittatura, e di quella post bellica, incapace di fare i conti col torbido recente passato. Tutti ingredienti che compongono questo straordinario romanzo d’esordio del premio Nobel Günter Grass, pubblicato nel 1959.
Protagonista è Oskar, che dalla stanza del manicomio in cui è rinchiuso si fa portare carta e penna dall’inserviente Bruno e racconta con minuzia di particolari la sua storia e quella della sua famiglia. E lo fa con una singolare mescola di epica, lirismo, prosa descrittiva, ironia e introspezione.
Oskar non è un individuo qualsiasi e ce lo dice senza giri di parole quando appena nato dà prova di qualità intellettive sopra la media e tratteggia vizi e virtù dei suoi familiari e della società che fa da sfondo. Nauseato da falsità e ipocrisia, dalle pene di essere uomo, Oskar decide ben presto di bloccare volontariamente la sua crescita fermandosi alla condizione di treenne apparentemente ritardato e analfabeta che, in compagnia della sua inseparabile latta rossa e bianca e di due mazze da tamburino, dà ritmo e musica alle sue impressioni e alle sue angosce. Il tamburo è il mezzo su cui Oskar sfoga il suo dolore, la latta il flessibile metallo che lo assorbe trasformandolo in note. A renderlo speciale c’è poi la voce “vetricida”. Un urlo di Oskar è infatti in grado di disintegrare il vetro anche da distanze notevoli. In questo tratto emerge tutta la discontinuità del protagonista con la società borghese dell’epoca che stigmatizza e compatisce il diverso, il mostruoso. L’urlo di Oskar è purificatore, come il fuoco, e demolisce la fragilità delle apparenze e delle maschere per rivelare cosa c’è dietro.
La vita del piccolo protagonista è tutta un susseguirsi di dinamiche familiari, innamoramenti, miracoli, cadute e bizzarri incontri. Fondamentale ruolo nella sua esistenza è quello giocato dalla madre Agnes, impegnata in una relazione clandestina col cugino Jan Bronski, considerato da Oskar il padre putativo nonostante il ruolo di figura paterna sia ufficialmente svolto dal reniano Alfred Matzerath, che una giovane Agnes sposerà più per questioni di opportunità che di cuore. Un ménage destinato a perdurare, quello fra i tre, caratterizzato da lunghe partite a skat e da fugaci incontri amorosi in un hotel di Danzica tra i due adulteri spasimanti. C’è poi la leggendaria nonna Anna con le sue quattro gonne, il nonno piromane Joseph Koljaiczek, forse affogato in una fuga dalla polizia, forse emigrato negli Stati Uniti e divenuto un ricco imprenditore. Ci sono i vicini di casa e abitanti del condominio di via Labes, ognuno con le sue stranezze, ognuno con il suo segreto indicibile da reprimere in nome delle apparenze. Fondamentale l’incontro con Bebra, il Maestro, un altro nano che insegnerà ad Oskar la sottile arte di osservare il mondo dalla loro statura. Poi gli incontri femminili: dall’infatuazione per le infermiere e le loro candide divise, fino a Maria, il primo amore di Oskar, colei che sposerà suo padre Alfred una volta vedovo. La stessa che darà alla luce Kurt, ufficialmente figlio della coppia, ma più probabilmente figlio naturale del tamburino.
Poi i viaggi, a spasso tra la Germania sconquassata dalla guerra fino in Francia e di nuovo sul Vallo Atlantico e i suoi bunker. L’incontro con l’arte, quando Oskar diventerà posatore per pittori e scultori dell’Accademia delle Belle Arti di Düsseldorf, città dove si svolge la seconda parte del romanzo in seguito all’esodo dei cittadini tedeschi da una Danzica ritornata polacca. La stilettata ad un mondo vanesio fatto di pittori annoiati e a caccia di guadagni e modelle posatrici più simili ad accompagnatrici. La musica, compagna inseparabile di Oskar, che lo porterà a suonare la batteria in un complesso jazz; la scultura, con cui Oskar si relazionerà durante l’impiego come scalpellino in un laboratorio di lapidi funebri. Questo continuo rapporto con l’arte, l’apice delle facoltà dell’animo umano, così come con i risvolti più bassi e turpi della natura dell’uomo, porteranno Oskar alla radicale decisione di vivere in prigionia il resto dei suoi giorni, lontano da quel mondo cinico e crudele che non riesce ad accettare.
“Il Tamburo di Latta” è un romanzo denso, pieno di significati e simbolismi. Una lettura non sempre semplice e in cui spesso spazio e tempo si fondono dando vita ad immagini poetiche che donano alla narrazione un ritmo e uno stile inconfondibili. Non mancano i momenti spassosi, grotteschi: tutta la realtà passa infatti dallo sguardo sagace e dall’ironia tagliente di Oskar. Sicuramente uno degli apici in questo senso si trova nelle pagine iniziali che raccontano il concepimento della mamma Agnes e della fuga del piromane Koljaiczek.
Un romanzo che offre un insolito punto di vista sulla guerra che ha devastato l’Europa, vissuto dalla prospettiva dei cittadini tedeschi, gli indifferenti, e per questo colpevoli; un modo per rivivere quei giorni immergendoci totalmente nei dettagli dello scenario bellico e delle sue conseguenze sulla vita civile e allo stesso tempo evadere sulle ali della fantasia del piccolo stamburatore, l’individualista che non voleva proprio saperne di diventare come quei grandi che tanto disprezzava.
Indicazioni utili
Commenti
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |
Ordina
|
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |