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Dal passato non si fugge mai
Un libro che unisce la magia dei luoghi e delle parole alla realtà storica di alcuni fatti che hanno interessato l’Iran, l’antica Persia, nella storia contemporanea.
Leggerlo vuol dire trovarsi immersi in una storia affascinante, coinvolgente, ma anche molto dolorosa, scritta con uno stile particolarissimo in cui lo spirito orientale si intreccia armoniosamente con quello occidentale.
Kader Abdloah è lo pseudonimo di Hossein Sadjadi Farahani, dal 1988 rifugiato politico iraniano, che ha eletto l’Olanda come seconda patria, adottandone la lingua per i propri libri, molto apprezzati in Olanda e in Europa, in particolare, il libro “La casa della moschea” è stato votato dai lettori olandesi come il secondo libro più bello degli ultimi anni scritto nella loro lingua.
La scelta di scrivere in olandese è molto chiara: secondo l’autore, la sua lingua nativa, per la lunga storia di dittature e sofferenze che l’Iran ha vissuto e ancora vive, non è più in grado di esprimere la libertà. Tuttavia quell’icasticità , quella semplice solennità e poesia tipica di alcuni famosi autori persiani come Hafez e Sa’di, permea profondamente l’opera che si presta anche ad essere ascoltata, non solo letta. Va dunque riconosciuto il merito alla traduttrice, Elisabetta Svaluto Moreolo.
Il libro è diviso in tre parti con focalizzazione alternata: narratore onnisciente in terza persona, Ismail che narra gli eventi in prima persona, narratore onnisciente. Completano l’edizione Iperborea, un glossario delle parole iraniane utilizzate e dei poeti citati e la postfazione della traduttrice.
“Siamo in due, Ismail ed io. Io sono il narratore onnisciente. Ismail è il figlio di Aga Akbar, che era sordomuto. Benché io sia onnisciente, purtroppo non riesco a leggere gli appunti di Aga Akbar. Perciò racconterò la storia fino alla nascita di Ismail. Il resto lascio che lo racconti lui. Ma alla fine tornerò perché Ismail non riesce a decifrare l’ultima parte degli appunti di suo padre”.
La storia di “Scrittura cuneiforme” si apre e si chiude, come un cerchio magico, con il racconto della caverna, passi importanti per la risoluzione di alcuni punti della storia dei due protagonisti che infondono però nel lettore un senso di rispettoso mistero misto a speranza. Aga Akbar, come avete letto nella citazione, era sordomuto, un semplice annodatore di tappeti, analfabeta, figlio illegittimo del principe Aga Hadi Gorasani. Essendo sua madre molto malata, incapace di provvedere a lui, cresce sotto la protezione e la guida dello zio Kazem Gan che resterà a lungo il suo nume tutelare. La storia di Aga Akbar e di suo figlio Ismail si ambienta nel quartiere di Jeria, a Zafferano, “un villaggio che in primavera è coperto di fiori di mandorlo e in autunno di mandorle”, il paese dove si fabbricano i tappeti volanti delle fiabe.
Lì c’è un monte altissimo, il Monte Zafferano, sulla cima del quale era possibile vedere il confine russo, una costruzione e i soldati dell’Esercito Rosso, ma, ciò per cui il monte è importante, è una caverna in cui ci sono iscrizioni che un antico e potente re persiano fece incidere in caratteri cuneiformi. Il piccolo Aga Akbar era solito scalare spesso quell’altissimo monte insieme allo zio che un giorno gli propose di ricopiare l’antico testo su carta. Kazem Gan aveva intuito nel nipote sordomuto ed analfabeta uno “spirito di artista”, uno slancio che aveva bisogno di trovare sfogo, fosse il pezzo di carta o l’annodare i tappeti. E fu così che Aga Akbar cominciò a scrivere i suoi pensieri con caratteri antichi seguendo il proprio istinto in un taccuino che poi arrivò a suo figlio Ismail, ormai adulto.
Quel taccuino e la decifrazione degli appunti rappresenteranno per Ismail, la possibilità di far pace col passato e di superare il senso di colpa per aver abbandonato la famiglia in Iran durante il pesante regime degli Imam, per salvare se stesso e la sua nuova famiglia. Ismail infatti era militante nel partito che si opponeva al regime e, per non essere arrestato o ucciso, si era trovato costretto a scappare e a rifugiarsi in Olanda. È la storia dello stesso scrittore, di Khaled Abdolah, che ha dichiarato di essersi opposto al regime degli ayatollah, di essere stato membro attivo dell’opposizione. Non solo, con Ismail ha in comune anche la condizione di essere figlio di un sordomuto analfabeta.
Un’autobiografia romanzata. Una storia che suscita tenerezza e che commuove, Aga Akbar nella sua semplicità è l’universale padre che conosce la cultura del cuore aperto, degli stenti e dei sacrifici, un uomo che saluta chiunque sul suo cammino, mortificato dal dolore nel corpo e nello spirito, orgoglioso del proprio figlio, Ismail e geloso e premuroso verso le figlie. Con questo romanzo intuiamo la necessità dello stesso di scrittore di riconciliarsi col proprio passato e troviamo i temi ricorrenti anche nel primo romanzo “Il viaggio delle bottiglie vuote”: la condizione di esule, il ricordo dell’amata terra lontana, la perdita degli affetti più cari, il dialogo ininterrotto col padre.
Anche se ben accolto e ben integrato in Olanda, Kader-Ismail sentirà sempre il richiamo della propria terra, perché :
“Non si fugge mai da qualcosa, si torna sempre indietro. Andare via non esiste. Tornare sì. Si vola lontano, si vola in alto, ma si ricade sempre sul luogo dal quale si è partiti”.
Da leggere.
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